Il programma Garanzia Giovani continua imperterrito il suo cammino, tra ombre e luci. Scopriamo le cose positive prodotte e soprattutto cosa non ha funzionato, nella speranza che le prossime politiche attive possano essere maggiormente adeguate al contesto italiano.
COS’E’ GARANZIA GIOVANI
Il progetto prevede di far fare degli stage retribuiti dalle Regioni di competenza ai giovani. Il matching tra domanda e offerta è gestito personalmente dal fruitore del servizio, che può in alternativa appoggiarsi ai centri per l’impiego o alle agenzie per il lavoro (che percepiscono incentivi in caso di riuscito incontro). Perché dovrebbe facilitare l’inserimento? Perché il datore di lavoro non paga nulla (a parte una cifra una tantum per l’assicurazione, di poco superiore alle 100 euro) e ha uno/a stagista che lavora per sei mesi, alla fine dei quali può decidere se assumerlo o meno. In caso di assunzione, sono previsti degli incentivi.
Infatti, pochi sanno che il progetto originale di Garanzia Giovani è nato in Finlandia e si è poi allargato a tutta Europa. All’estero la disoccupazione giovanile è minore rispetto la situazione nostrana. Infatti, la fascia d’età che può usufruire di questa opportunità va dai 18 ai 25 anni (per i minorenni è comunque prevista la possibilità di partecipare a corsi di formazione). Data la dilagante disoccupazione dei ragazzi nel nostro Paese, la fascia d’età si è allargata fino a 30 anni. Questa è stata una nota parzialmente positiva: arrivare fino ai 35 sarebbe stata la soluzione migliore. Ciò ha infatti precluso da molteplici opportunità i giovani della fascia 30-40. Per loro, si è detto, c’era il contratto di ricollocazione. Le graduatorie hanno “premiato” soltanto poche persone e si è completamente tralasciata la fascia degli inoccupati over 30, che poi in realtà figurano come tali solo perché hanno svolto solo ed esclusivamente lavori in nero o tirocini. Inoltre, possono partecipare soltanto persone che non studiano né lavorano. La motivazione ufficiale al riguardo è quella di incentivare lo studio e la formazione. Se infatti fosse stato allargato a tutti, probabilmente qualcuno avrebbe lasciato gli studi per lavorare. E questa è stata un’altra scelta che non ha funzionato. Persone che facevano un semplice corso di lingua non hanno potuto partecipare al progetto di Garanzia Giovani. In Germania la percentuale di studenti che allo stesso tempo lavorano e studiano è molto più alta per via di un miglior contesto strutturale. La percentuale in Italia è bassissima. Questo fa sì che quasi soltanto chi ha alle spalle dei genitori che pagano le spese universitarie può permettersi di studiare. Far partecipare ai tirocini anche studenti sarebbe stato paradossalmente il miglior modo per incentivare gli studi. Molti datori se ne sono approfittati facendo lavorare uno stagista dopo l’altro ottenendo così manodopera pressoché gratuita. Inoltre, ne hanno usufruito praticamente tutti, eliminando così la motivazione principale per il quale un giovane fa uno stage: acquisire una competenza. E’ bene sottolineare che la maggior parte dei lavori proposti sono più che dignitosi, ma persino per lavare i piatti ci si è rivolti a questo programma, e di certo non offre l’acquisizione di taluna competenza. Altro problema che ha avvilito i ragazzi riguarda i pagamenti. Inizialmente 400 euro, poi salite a 500: la retribuzione non è così alta e soprattutto molti giovani hanno terminato il tirocinio da diversi mesi e ancora non hanno ricevuto il denaro. Dunque, notevoli ritardi nei pagamenti, che certo non facilitano chi non ha alle spalle qualcuno che li supporti. E’ mancato anche un adeguato servizio di orientamento: questo perché nel Servizio Pubblico sono poche le persone che lo praticano, mentre all’estero è considerato un punto focale per quanto concerne non solo la collocazione e la ricollocazione, ma anche la formazione scolastica. Insomma, le premesse positive c’erano tutte. Qualcuno è stato assunto e una parte di datori di lavoro corretti hanno gestito al meglio la situazione. Tuttavia, è giusto segnalare le altre mancanze per far sì che le prossime politiche attive legate al lavoro prendano nota di cosa non ha funzionato per migliorare i prossimi servizi.