di Alessandro Coltré e Aleksandra Magda
Una festa artenese, Jo Peléo
Sabato 25 giugno Artena festeggerà Jo Peléo, rito antico e grande occasione per saltare il tradizionale fuoco di San Giovanni. Si salta in due, per tre volte consecutive e poi bisogna dire:
“Damoce la mani e chiamamose compari.
La mano ce daremo e compari se chiameremo.
Compà e commà nse tenimo mai da ‘nfoja”. (compare e commare non dobbiamo mai litigare)
Strofe che rimandano al comparatico, legame tra due persone che nella notte del 23 giugno, in molti paesi, viene realizzato saltando insieme il fuoco, scambiandosi dei fiori o mangiando insieme dopo aver recitato alcune formule fisse.
Un rito Antico
Il salto del fuoco a metà giugno e altri riti ad esso correlati, fanno parte di un grande patrimonio precristiano e pagano dove troviamo ricorrenze e feste popolari dedicate ai “grandi eventi della terra” -come equinozi e solstizi- e a momenti importanti nella vita contadina come la mietitura.
Il solstizio d’estate era considerato, per molte civiltà precristiane, un giorno da consacrare con atti propiziatori perché rappresentava l’inizio di una nuova fase.
L’uomo, durante il solstizio conferma il suo legame con la natura e con i suoi elementi che, in questa notte, acquistano caratteristiche portentose e benevole.
Acqua e Fuoco, simboli solstiziali per eccellenza, erano al centro di numerosi riti del mondo rurale.
La sera della vigilia del solstizio d’estate, il contadino accendeva dei fuochi sulle colline per ingraziarsi il Sole , i suoi poteri purificatori, la sua protezione e sopratutto la sua energia regalata ai campi.
Per alcuni popoli, tra cui i Babilonesi, durante il solstizio d’estate avveniva il matrimonio tra Sole e Luna, dunque tra Fuoco e Acqua.
Per greci e romani questo era un giorno di passaggio e di festeggiamenti in onore dei protettori delle “porte solstiziali”.
Giano Bifronte era la divinità romana messa a custodia di tutte le porte – comprese quelle solstiziali- di tutti i passaggi, delle soglie e dei confini; una divinità raffigurata di solito con due volti, capace di guardare passato e futuro e perché essendo sempre “sulla soglia”, può guardare sia dentro che fuori.
Nell’epoca arcaica romana, Giano era il dio legato ai cicli naturali, alla raccolta e alla semina e presiedeva tutti gli inizi e i passaggi delle attività naturali e umane.
Ovidio, nei suoi Fasti elogia questa divinità e invita nell’opera a saltare il fuoco propiziatore, acceso da pastori e contadini, per ottenere prosperità e letizia.
Due docenti dell’Università degli studi di Perugia, Maria Grazia Cittadini e Vania Gasperoni Panella hanno indagato su questa divinità romana nella loro pubblicazione “ Dal mondo antico al Cristianesimo sulle tracce di Giano” (Morlacchi Editore)
Le due professoresse suggeriscono l’affinità tra Giano della tradizione romana e i “due Giovanni” del mondo cristiano: San Giovanni Battista si colloca qualche giorno dopo il solstizio d’estate, precisamente il 24 giugno e San Giovanni Evangelista il 27 dicembre, dopo il solstizio d’inverno.
Il cristianesimo sembra aver voluto “riscrivere” e assimilare i culti arcaici legati al solstizio poiché era impossibile estirparne i riti popolari e contadini di origine pagana. Riti radicati negli uomini che vivevano questi momenti come fasi di transito verso presupposti migliori.
Viene fatta notare anche la somiglianza fonetica tra Janus (Giano) e il latino Joaness (Giovanni), senza dimenticare che diverse chiese cristiane costruite in Italia nei pressi dei templi pagani intitolati a Giano, sono state dedicate a San Giovanni.
Le fiamme di questi falò allontanano da sempre le brutture del mondo e le preoccupazioni, si danza intorno al fuoco e lo si salta per lasciarsi alle spalle affanni e fatiche.
E’ un salto millenario, sacro e magico, pagano e cristiano. E’ il salto di chi -fino a pochi anni fa- viveva a stretto contatto con i ritmi della natura.
Le erbe di San Giovanni
La notte di San Giovanni è anche la notte delle streghe e degli spiriti maligni. Durante questa notte alcune erbe acquistano dei poteri contro i demoni.
Tra queste troviamo l’iperico, detta appunto erba di San Giovanni o scacciadiavoli.
L’iperico, pianta dalle molte proprietà benefiche ( ha un’azione antidepressiva ed è un piccolo aiuto contro l’insonnia), era ritenuta un vero amuleto contro ogni sorta di stregoneria.
Ci sono anche la verbena, l’artemisia, la lavanda, la ruta, la salvia e la felce.
Tutte erbe messe fuori la porta di casa per proteggere l’abitazione e la famiglia dagli spiriti maligni.
La notte di S. Giovanni è ancora magica per molti paesi e ogni anno c’è chi rinnova l’usanza di questo antico salto in Italia, in Spagna, in Grecia, nei paesi nordici e in quelli dell’Europa dell’Est.
Un salto in Polonia di Aleksandra Magda
Nella notte tra il 21 e il 22 giugno, durante il solstizio estivo, gli Slavi celebravano la Notte di Kupala (chiamata anche Sobotka) – antica divinità pagana legata alla fertilità. Dopo l’arrivo del cristianesimo, la Chiesa non essendo in grado di sradicare i costumi popolari o schiettamente pagani provo’ ad assimilare questa celebrazione. Così è sopravvissuta e viene coltivata fino ad oggi però la notte del 23 giugno e sotto il nome Noc Świętojańska (La Notte di San Giovanni).
Secondo la leggenda, la Notte di Kupala aveva una forza magica. Quando spariva l‘ultima fiamma del fuoco scendevano sulla Terra degli spiriti maligni, si gettava, pertanto sui carboni incandescenti, salvia, verbasco e artemisia. Il loro profumo diffondendosi tutt’intorno, faceva sparire tutti i mali.
La celebrazione di Sobótka si svolgeva durante il tramonto del Sole. Secondo la tradizione slava era una festa di acqua, fuoco, amore e fertilità. Durante la Notte di Kupala erano consentiti comportamenti frivoli e danze, normalmente considerate riprovevoli. Si credeva che la sua celebrazione portasse abbondanza, buon raccolto e benessere in casa.
Le donne gettavano quindi nei fiumi delle erbe, soprattutto artemisia e salvia.
Durante la Notte di Kupala il fuoco svolgeva il ruolo di katharsis (purificazione) e bruciava i peccati delle persone che lo saltavano e che ballavano intorno al falò. Questa notte magica si concentrava soprattutto sull’amore, anzi la cosa più importante era quella di provare il colpo di fulmine, innamorarsi o trovare un grande affetto. Da ciò deriva la bella tradizione di gettare le corone di fiori.
Le corone venivano realizzate da fanciulle, pronte a sposarsi, utilizzando erbe e fiori. In seguito gettavano le loro corone perché andassero con la corrente del fiume. Dall’altra sponda, gli uomini avevano il compito di pescarne una. Se arrivava subito al ragazzo destinato significava che la coppia si sarebbe sposata presto. Se la corona affondava, la ragazza che l’aveva gettata era destinata a rimanere nubile per sempre. La corona che galleggiava più lungo di tutte costituiva il segno che la fanciulla avrebbe convolato a nozze più tardi di tutte.
Era una delle poche notti in cui una coppia di innamorati poteva andare nei boschi in cerca del mitico fiore di felci.
Il fiore fioriva solo una notte all’anno. Lo poteva trovare solo un essere umano giusto con una coscienza pura, tanto da non aver mai ferito nessuno. Dopo aver trovato il fiore lo aspettava felicità e ricchezza.
Nei tempi odierni, La Notte di San Giovanni viene festeggiata in molte città della Polonia come Varsavia, Cracovia, ma anche nei in piccoli paesini. Le celebrazioni di oggi fanno rivivere le antiche feste popolari.
In quasi tutti i paesi slavi si svolgono gli stessi riti : si gettano le corone di fiori nei fiumi, s’ accende il fuoco e si organizzano concerti con musica folcloristica e sulle teste di animali vengono messe le corone di fiori secche affinché non vengano attaccati da malattie.
In Lettonia questa festa è trattata alla stregua delle grandi feste nazionali.