La maggior parte delle neomamme di oggi sono consapevoli della grande importanza di allattare al seno i propri bambini, sia per questioni legate a complicati processi biochimici della persona che per instaurare un solido rapporto tra madre e figli.
Ma un recente studio condotto in America ha portato evidenze scientifiche piuttosto preoccupanti: alcuni composti che fanno parte degli imballaggi usati per i generi alimentari sono stati trovati nel latte materno. Già in precedenza altri gruppi di studio avevano rilevato la presenza di residui di quel tipo di packaging nel siero del sangue umano, destando non poche perplessità.
Runzeng Liu e Scott A. Mabury, ricercatori presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Toronto (Canada), hanno pubblicato il proprio studio su “Environmental Science & Technology Letters” (in lingua inglese): lo studio è stato condotto sul latte materno di 60 donne degli Stati Uniti, che si sono prestate a donare il proprio latte per la scienza. I risultati mostrano la presenza di 15 diversi tipi di fotoiniziatori, tra cui il più diffuso (benzofenone) rilevato nel 97% dei campioni e che rappresentava il 79% delle sostanze fotoiniziatrici totali.
I redattori esperti in nutrizione di Healthspring spiegano che si tratta di sostanze che vengono utilizzate nel processo della fotopolimerizzazione, vale a dire il processo di lavorazione dei materiali da imballaggio che vengono sottoposti a radiazioni luminose per indurne precise reazioni chimiche. Fra l’altro viene considerata una tecnologia più rispettosa dell’ambiente rispetto ad altre, con lo stesso effetto di sintetizzare materiali sensibili alla luce come inchiostri speciali, rivestimenti e resine vulcanizzabili ai raggi ultravioletti.
Mediante il comunicato stampa i ricercatori hanno sottolineato che l’indagine condotta chiarisce senza dubbio il fatto che alcune sostanze non si esauriscono con il processo di lavorazione dei materiali da imballaggio, ragione per la quale riescono ad essere assorbiti dall’essere umano tramite i cibi. Tuttavia, per evitare ogni forma di ingiustificato allarmismo, hanno precisato che i livelli riscontrati non sembrano preoccupanti per la salute, né della madre né dei lattanti. La quantità massima ingerita calcolata dai ricercatori risultava di quattro volte inferiore al livello di guardia fissato dalle autorità europee per la sicurezza alimentare, per evitare di incorrere negli effetti tossici o cancerogeni.
Senza addentrarsi ad analizzare la vasta casistica accertata di fattori ambientali che condizionano lo status psicofisico delle madri, dalla presenza di metalli pesanti o sostanze tossiche di vario genere che hanno intaccato le falde acquifere a casi di elevata radioattività, il seno è sempre più oggetto di studio per ogni sua funzione. Non ultima la correlazione fra cancro al seno e protesi mammarie, su cui l’Unione Europea sta investigando a seguito del fondato sospetto dell’esistenza di un nesso di causalità fra l’impianto di protesi al seno e la successiva insorgenza di tumori in quella parte in almeno alcune centinaia di donne.