Reddito di cittadinanza: per la Cassazione va sequestrata la carta per informazioni inesatte nonostante il possesso dei requisiti. Confermato il sequestro preventivo a carico di un finto disoccupato. Lo “Sportello dei Diritti”: non dichiarare il falso sperando in un beneficio effimero. Può costare una condanna penale e la restituzione di quanto percepito.
Reddito di cittadinanza: per la Cassazione va sequestrata la carta per informazioni inesatte nonostante il possesso dei requisiti
Massima attenzione per tutti coloro che hanno chiesto o stanno per chiedere il reddito di cittadinanza, l’ormai arcinota misura di contrasto alla povertà, è un sostegno economico finalizzato al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale introdotta dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4. Per la Cassazione penale, con la sentenza n. 5290 del 10 febbraio 2020 che – rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “ Sportello dei Diritti – costituisce il primo precedente assoluto in materia, la carta di reddito di cittadinanza può essere sequestrata anche per informazioni inesatte o parzialmente inesatte, nonostante il possesso dei requisiti.
Nella fattispecie, infatti, la Suprema Corte ha confermato la misura preventiva a carico di un presunto finto disoccupato con un invito implicito a tutti i cittadini alla massima trasparenza. Interessante la motivazione resa dai giudici di legittimità che hanno rigettato l’impugnazione della decisione del Tribunale di Palermo che a sua volta aveva rigettato la richiesta di riesame di un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP dello stesso Tribunale.
Scrivono gli ermellini che: «ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente, può essere disposto anche indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio».
Dopo un parallelo con la normativa che attengono all’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato i giudici di piazza Cavour hanno rilanciato l’importanza del principio antielusivo che s’incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Costituzione, la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; per cui, la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Tale essendo la ratio delle due fattispecie incriminatrici dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, deve ritenersi che le stesse trovino applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge.
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E ciò anche perché il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza, come emerge anche dai successivi commi del richiamato art. 7, che disciplinano, non a caso, un’ampia casistica di fattispecie di revoca, decadenza e sanzioni amministrative.
Insomma, per Giovanni D’Agata, presidente dello “ Sportello dei Diritti”, la decisione in questione conferma che anche se il momento per migliaia di cittadini è a dir poco delicato è sempre imprescindibile non dichiarare il falso sperando in un beneficio effimero. Perché può costare una condanna penale e la restituzione di quanto indebitamente percepito.