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“Il Nero” torna a casa: la scarcerazione di Massimo Carminati e la chimera dei processi rapidi in Italia

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Da domani potreste scendere sotto casa, entrare nel bar e ritrovarvi a prendere un caffè di fianco a Massimo Carminati, a distanza di almeno un metro, ovviamente.

Scarcerato Massimo Carminati

Ieri Massimo Carminati è stato scarcerato. Lo abbiamo visto uscire dal Carcere di Oristano, in Sardegna, dove era detenuto. Non ha rilasciato dichiarazioni. Eppure l’eco di altre dichiarazioni del passato (non sue) si fa strada nelle menti di chi conosce bene la storia criminale, non solo di Carminati quanto di tutte la vicende della mala romana: “Carminati l’ha sempre fatta franca e anche questa volta finirà che lo grazieranno e sconterà solo qualche anno“. Et voilà, il piatto è servito. O quasi. Dopo la scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, ora c’è il ricalcolo della pena per la (semplice) associazione a delinquere da parte della Corte d’Appello.

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C’è da dire che non si tratta di alcuna forzatura giuridica. Carminati torna in piena libertà perché le leggi dello Stato Italiano lo prevedono, belle o brutte che siano. Bisogna, quindi, solo prenderne atto e dopodiché farsi due domande. Innanzitutto, non fanno altro che rimbombare nell’aria le trentennali affermazioni propagandistiche della politica italiana che recitano “Lentezza dei processi“, “Certezza della pena” e così via. Tralasciando l’ultima, la lentezza dei processi è un handicap della giurisdizione italiana che ha spesso portato a discussioni incendiarie in ambito anche e soprattutto politico. Per non andare troppo tempo indietro con la mente, lo stesso Movimento 5 Stelle, che oggi presiede il Ministero della Giustizia nella figura di Alfonso Bonafede, si è fatto portavoce della necessità di avere in Italia dei processi più rapidi e che assicurino i criminali alla giustizia nel più breve tempo possibile. Per non dire “portavoce di una riforma della giustizia“, in quanto essi sono disegni chiaramente troppo impegnativi per un paese che si distingue nel mondo per la sua abilità d’improvvisazione e di manifattura delle toppe sui calzoni bucati.

Certo, incarcerare Carminati accusandolo chiaramente di qualcosa, potrebbe sembrare quello che non è, ovvero facile. Basti pensare a quante volte l’abbia fatta franca, a quanto sia nota la sua fama di “protetto” e a quanto la sua prima foto segnaletica sia di poco più giovane di lui. Non basta essere stato imputato per i più tragici avvenimenti della storia italiana degli ultimi 50 anni per finire in galera. No. Eppure, la parvenza che forse Carminati stavolta l’avesse fatta grossa effettivamente si percepiva. Ma eccolo lì che lo vediamo uscire dal carcere con la camicia mezza sbottonata, un borsone a tracolla, sguardo a terra: l’impatto visivo che ti dà uno che sta per andare in villeggiatura e si gode finalmente la partenza, dicendo a mente “Addio”, “Arrivederci” o “A presto” alla casa o al luogo che ci si sta lasciando alle spalle (per un po’).

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Senza tenere il conto delle volte che Carminati ha tentato la fuga, ora ci sarà il ricalcolo della pena e nel frattempo il Ministro Bonafede si para le spalle mandando gli ispettori a verificare che tutto si sia stato portato avanti correttamente lungo la tortuosa strada della giustizia. Ma rimane il fatto che, per il deposito delle motivazioni della sentenza che ha sancito la caduta dell’accusa di associazione mafiosa, ci sono voluti 7 mesi. 7 mesi per dire perché Massimo Carminati e Salvatore Buzzi non avevano allestito un sistema mafioso, ma semplicemente un sistema di semplice corruzione a cui si era aperto e asservito parte del mondo imprenditoriale e politico romano.

Insomma, se Carminati domani si può liberamente prendere un caffè con tal dei tali è anche “merito” della cultura propagandistica della politica moderna: il chiacchiericcio da bar, quello che si risolve con un invito a cena e una “magnata” tutti insieme appassionatamente.

FOTO DI REPERTORIO