L’italiano è una lingua molto antica contraddistinta da tantissimi dialetti che ne hanno influenzato la fonetica e le parole, al punto che alcuni modi di dire locali sono diventati d’uso comune un po’ ovunque. Ogni regione ha poi mantenuto i suoi detti che spesso sono diventati protagonisti di pellicole di grande successo e hanno ispirato famosissimi comici. Si tratta di un vero e proprio segno distintivo della nostra variegata penisola che contribuisce a renderla unica e inimitabile. Ma siamo sicuri di conoscere davvero i vari detti tipici dei diversi territori? Per scoprirlo vale la pena avventurarsi in un viaggio tra i modi di dire locali più famosi.
“Milan l’è on gran Milan”
Sono molti i detti e le espressioni milanesi da approfondire, come dimostra questo articolo di Babbel, e in ognuno di essi emerge la consapevolezza che vivere nella città di Milano significa adottare un particolare stile di vita. “Lassa pûr ch’el mund el disa, ma Milan l’è on gran Milan” è una celebre canzone del 1939 di Giovanni D’Anzi e Alfredo Bracchi che significa: “Lascia pure che il mondo dica, ma Milano è una gran Milano”. Una città eclettica i cui abitanti si sono fatti le ossa: il temerario milanese infatti non solo è abituato a tutto, ma è anche capace di far fronte a tutto. Non si arrende al traffico mattutino di ogni giorno, sa come gestire una riunione improvvisa, riesce sempre a organizzarsi per una corsa allo shopping e non si fa mai mancare l’aperitivo della sera.
“Parlare a buffo”
Gli eleganti “francesismi” romani sono conosciuti in tutta la penisola e quindi come non aver mai sentito l’espressione “Parlare a buffo”. È curioso sottolineare come questo modo di dire non abbia nulla a che fare con il senso proprio dell’aggettivo italiano, generalmente usato per descrivere una situazione comica o divertente. Molti romani inoltre saranno sorpresi di sentire che il temine non è di inventiva popolare, ma ha invece un’origine molto antica. “Essere pieni di buffi” vuol dire, e voleva dire anche in passato, avere molti debiti. Nel tempo poi l’espressione ha subito variazioni, finendo per essere usata anche per indicare un qualcosa che accade senza motivo, quindi “Parlare a buffo”, appunto, significa parlare a vanvera.
“A meglia parola è chella che nun se dice”
Un vero must nel mondo del cinema e uno dei dialetti più imitati in assoluto è senza ombra di dubbio il napoletano, che ha sempre regalato frasi molto colorite e spesso incomprensibili. Uno tra i più famosi detti partenopei, “A meglia parola è chella che nun se dice”, nasconde un senso di disincanto in quanto ribadisce che, di fronte alla scoperta di una verità scomoda, è preferibile stare zitti e non rivelare nulla. In qualche modo comunica quindi la palese intenzione di omettere qualcosa, una pratica molto diffusa tra i nativi di questa terra.
“Cu campa vecchiu si fa!
Non poteva mancare un proverbio siciliano, dal sapore schietto e sincero proprio come ogni sentire popolare che si rispetti. Così la frase “Cu campa vecchiu si fa” ovvero “Chi vive diventa vecchio”, nasconde nella sua apparente banalità la consapevolezza che il tempo passa per tutti e che ciò è perfettamente normale. L’importante è vivere ogni età per quella che è con i suoi pro e i suoi contro.
“In su corr’e sa furca”
Uno dei detti sardi più famosi è “In su corr’e sa furca”. Espressione della variante campidanese, viene usata soprattutto a Cagliari per indicare una località lontana, difficile da trovare o da raggiungere. Per inserirla in un classico contesto sardo: “Oh Tore ma aundi mi ses portendi a fai custa passillara? In su corr’e sa furca?”. Ovvero, “Oh Salvatore ma dove mi hai condotto per fare questa passeggiata? Nel corno della forca?”.
“Senza lilleri un si lallera!”
La simpatica espressione tutta toscana sta a significare che senza soldi non si può fare niente. È curioso sapere che “lilleri” potrebbe far riferimento ai ‘tilleri’, cioè ai soldi. La parola infatti deriverebbe dal ‘tallero’ una moneta d’argento utilizzata in passato. Quindi è sempre bene tenere a mente che “Senza lilleri un si lallera!”, magari aggiungendoci un “caro mio” che in toscano ci sta sempre bene.