Uno studio di ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Roma stima la diffusione del virus in Italia tenendo conto di diversi fattori demografici ed epidemiologici.
Lo studio
Un lavoro svolto presso l’Università Cattolica, Campus di Roma ha stimato che oltre 5 milioni di italiani (ovvero il 10% della popolazione) sono entrati in contatto con il SARS-CoV-2. Sarebbero, molti di più, quindi, rispetto alle stime ufficiali.
È il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista “Science of the Total Environment” e condotto dal professor Giuseppe Arbia del Dipartimento di Scienze Statistiche della Facoltà di Economia, Università Cattolica, campus di Roma, in collaborazione con la professoressa Francesca Bassi dell’Università di Padova e del dottor Piero Demetrio Falorsi dell’ISTAT.
Secondo lo stesso studio, cambierebbe anche l’età mediana dei contagiati, la quale salirebbe a 46 anni contro la stima di 41 anni che emerge dal dato del Ministero della Salute calcolato sulla analisi dei tamponi effettuati.
Con i dati attualmente a disposizione, spiega Arbia, non è possibile avere una stima precisa del numero di persone entrate finora in contatto con il SARS-CoV-2 e quindi una stima della letalità del virus (che si calcola facendo il rapporto tra il numero di decessi e il numero di persone contagiate).
Infatti, dati i criteri con i quali vengono effettuati i tamponi ad oggi (ovvero testando i soli sintomatici o chi vi è entrato in contatto e non facendo tamponi di screening sulla popolazione), risultano sovra-rappresentate le persone infette e con sintomi e, di contro, sottorappresentati gli asintomatici e i pauco- sintomatici.
“Nel nostro lavoro – afferma il professor Arbia – abbiamo tentato di ovviare a questa distorsione proponendo un modello statistico attraverso il quale i dati ufficiali vengono ‘pesati’ sulla base della struttura per sesso ed età della popolazione italiana. In altre parole, ad esempio, dato che gli individui più giovani rientrano raramente nei dati ufficiali in quanto più spesso asintomatici – spiega l’esperto – nel nostro modello vengono pesati maggiormente” (come se ogni giovane positivo che viene testato valesse di più di un individuo positivo di età maggiore).
L’esito è una stima delle persone entrate in contatto col virus di molto superiore ai dati ufficiali e pari a circa 5.263.000 (ovvero un po’ meno del 10% della popolazione), contro una stima di 381.602 ottenuta con i dati ufficiali della Protezione Civile, e contro la stima di 1.482.000 emersa dall’indagine sierologica condotta dall’ISTAT.
“Il dato che emerge dalla nostra ricerca – continua – è peraltro in linea con le stime dell’Imperial College di Londra (Report 13 – Estimating the number of infections and the impact of non-pharmaceutical interventions on COVID-19 in 11 European countries) e con quelle diffuse da Mike Ryan dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) le quali convergono nell’affermare che i contagiati sarebbero, appunto, il 10% circa della popolazione mondiale.
Due sono le conseguenze, una negativa ed una positiva, di questa stima, sottolinea Arbia. La prima è che il numero di contagiati è di molto superiore a quello che pensiamo e, quindi, è maggiormente elevato il rischio di ulteriore trasmissione rapida e incontrollata del virus. “La seconda è che la letalità del virus potrebbe essere di molto inferiore a quella stimata ufficialmente. Secondo i dati diffusi dalla protezione civile, infatti, la letalità sarebbe del 9,5%, secondo l’indagine sierologica dell’ISTAT essa scenderebbe al 2,4% e secondo le nostre stime si abbasserebbe addirittura allo 0,6% ovvero 6 persone su mille”, conclude Arbia, ricordando che la letalità della pandemia spagnola del 1918 è stata del 4%, mentre quella dell’influenza stagionale si aggira annualmente intorno allo 0,1%. La letalità del Covid19, dunque, sarebbe sei volte superiore a quella di una comune influenza stagionale.