Sale la protesta dei gestori contro il nuovo DPCM. Piscine e palestre chiuse per un mese e locali adibiti alla ristorazione che resteranno aperti fino alle 18, e solo con i servizi di asporto da quest’ora in poi. Inutile dire che molte di queste chiusure hanno il sapore della beffa, dopo che nemmeno una settimana fa molte strutture si sono messe in regola (e alcune lo erano sempre state).
Protesta accesa contro l’ultimo DPCM
Palestre e piscine sicuramente non sono i principali luoghi dove sono stati registrati contagi e focolai di questa seconda ondata di Coronavirus. Focolai che anzi si registrano quotidianamente nel campionato di calcio di Serie A, che continuerà a disputarsi. Questo perché gran parte dei gestori sono stati costretti giustamente a spendere dei soldi per mettere in sicurezza i locali. Tra termoscanner, segnaletiche di distanziamento, igienizzanti, mascherine, vetri in plexiglass e misure atte a contenere l’emergenza covid (tra cui le docce saponate, una continua igienizzazione degli strumenti, la necessità di utilizzare i copri scarpe prima di entrare negli spogliatoi, ingressi contingentati e su prenotazione), a nulla sono servite poiché molti erano in regola e quelli che non lo erano (non tutti) hanno cercato di farlo proprio in questa settimana, dopo la penultima conferenza di Giuseppe Conte.
La scorsa settimana, infatti, sono stati comunicati i dati relativi ai controlli eseguiti dai NAS (105 ispezioni) sugli impianti e “non sono state rilevate criticità” – ha fatto notare Paolo Barelli, presidente della FIN (Federnuoto Italiana). Controlli anche nelle palestre, dove comunque la maggioranza risultava in regola. Ovviamente, qualche trasgressore è stato giustamente multato.
I gestori si chiedono che senso ha avuto far fare i controlli, mettersi in regola, spendere soldi e applicare le norme di sicurezza se poi è stato tutto chiuso? Se i controlli hanno dato esito negativo, rendessero pubblici i dati per validare la scelta. Quali controlli ci sono stati invece sui mezzi pubblici, che sono oggettivamente (non solo a livello percettivo) luoghi di assembramento a causa delle scarse corse predisposte? Perché si è scelto di ignorare il problema dei pochi mezzi pubblici (cercando di tamponare la situazione introducendo la didattica a distanza per medie e superiori), evitando quindi di spendere soldi per questo settore e spenderlo per risarcire i locali che resteranno chiusi o saranno comunque mutilati? Quante di queste strutture, già in crisi, riapriranno? La gestione del contagio è ciò che si chiede e deve fare il Governo, ma la sensazione dei gestori è che stavolta si sia agito cercando di andare per tentativi per lo più goffi. Stesso discorso nel mondo della scuola, dove nonostante si siano messe in regola con i banchi monoposto, alla fine molti insegnanti hanno ripreso a fare lezioni online.
Sicuramente c’è meno rischio di contagiarsi o eventualmente propagare il contagio rispettando ogni norma sul distanziamento e con i dispositivi di protezione individuale facendo le suddette attività sportive anziché recarsi a fare un comune viaggio sui trasporti pubblici, dove soprattutto nelle grandi città si sta spesso attaccati e senza che ci sia alcun controllo, se non quello dei soli autisti di bus. Aumentare le corse e il personale sarebbe stata presumibilmente la cosa più logica.
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Infine, il comparto legato alla ristorazione. Molti sono i ristoranti che non aprono a pranzo e sono così costretti a restare totalmente chiusi e diversi sono anche i bar e i ristoranti che non sono posizionati in zone limitrofe ai luoghi dove i lavoratori sono soliti andare a pranzo (per non parlare di quelli che lo sono, ma nelle strutture non c’è nessuno poiché i dipendenti sono in smart working), costretti così a non aprire per nulla. Non resta che sperare che stavolta i soldi arrivino puntuali sui conti dei gestori, come dichiarato dal Premier nell’ultima conferenza stampa, affinché l’economia italiana non subisca il contraccolpo finale. Il tutto, intendiamoci, senza voler sottovalutare la problematica del coronavirus e della salute, che resta primaria.
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