Il report settimanale dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, campus di Roma fa il punto sui mesi dell’emergenza sanitaria. Il numero dei casi nella seconda ondata sei volte superiore al numero dei casi della prima.
In 10 mesi due ondate, che sembrano due diverse pandemie. Il numero di casi di Covid-19 nella seconda ondata è sei volte superiore al numero di casi nella prima. Il numero dei decessi nella seconda ondata supera i 36.000 a fronte di 29.000 deceduti nel periodo fino al 4 maggio.
“L’unica vera buona notizia che abbiamo oggi a conclusione dell’anno pandemico è l’avvio della campagna di vaccinazione di massa – considera il professor Americo Cicchetti, Direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica – . La seconda ondata è per ora di gran lunga peggiore della prima. Nella prima ondata il picco dei deceduti è stato raggiunto più rapidamente (alla quinta settimana) con una discesa lenta ma costante dovuta alla progressiva efficacia delle restrizioni. Nella seconda ondata, il picco massimo nei deceduti si è raggiunto alla nona settimana e sembra stabilizzarsi. La discesa della curva non è evidente come ci saremmo aspettati. È evidente che le diverse strategie di contenimento adottate, più blande e forse tardive nella seconda ondata, hanno portato a effetti più significativi sulla mortalità”.
È quanto emerge dall’edizione speciale dell’Instant Report Covid-19 di ALTEMS – una iniziativa dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di confronto sistematico dell’andamento della diffusione del Sars-COV-2 a livello nazionale.
L’analisi riguarda tutte le 21 Regioni e Province Autonome con un focus dedicato alle Regioni in cui è stato maggiore il contagio (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Lazio). Il gruppo di lavoro dell’Università Cattolica, è coordinato da Americo Cicchetti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con l’advisorship scientifica del Professor Gianfranco Damiani e della Dottoressa Maria Lucia Specchia del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica (Sezione di Igiene) della Cattolica.
A partire dal Report #4 la collaborazione si è estesa al Centro di Ricerca e Studi in Management Sanitario dell’Università Cattolica (Professor Eugenio Anessi Pessina) e al Gruppo di Organizzazione dell’Università Magna Græcia di Catanzaro (Professor Rocco Reina). Il team multidisciplinare è composto da economisti ed aziendalisti sanitari, medici di sanità pubblica, ingegneri informatici, psicologi e statistici.
La finalità è comprendere le implicazioni delle diverse strategie adottate dalle Regioni per fronteggiare la diffusione del virus e le conseguenze del Covid19 in contesti diversi per trarne indicazioni per il futuro prossimo e per acquisire insegnamenti derivanti da questa drammatica esperienza.
Epidemiologia e monitoraggio
La pandemia ha vissuto due ondate. La prima esplosa il 21 febbraio con l’individuazione del “caso 1” a Codogno, e quasi immediatamente “contenuta” con i provvedimenti via via più restrittivi di Governo e Regioni che hanno portato il Paese in lockdown tra il 9 marzo e il 3 maggio 2020. In questa prima fase il contagio ha tagliato il paese in tre parti: il Nord del Paese colpito più duramente insieme alla fascia adriatica fino alle Marche; le Regioni centrali con livelli di incidenza e prevalenza intermedi; le Regioni del Sud e le Isole in cui l’incidenza e la prevalenza sono rimaste estremamente contenute. Il picco massimo dei nuovi positivi in un giorno veniva raggiunto il 21 marzo con 6.557 nuovi positivi. Sei giorni dopo, il 27 marzo 2020 veniva raggiunto il picco massimo dei deceduti in un giorno, 969.
Successivamente ad un periodo estivo caratterizzato da una bassissima circolazione del virus, l’inizio dell’autunno, a seguito della ripresa delle attività nei grandi centri urbani, è coinciso con una ripresa della circolazione del virus con modalità diverse rispetto a quanto accaduto in primavera. I livelli di incidenza e prevalenza, ancorché mediamente più significativi nelle Regioni del Nord, si sono elevati in tutto il paese. In questo frangente la mancanza di provvedimenti restrittivi alla circolazione delle persone, ha ben presto reso impossibile il tracciamento dei casi portando all’esplosione dei contagi fino ad arrivare al picco di nuovi positivi giornalieri il 13 novembre (40.902 nuovi positivi), più di 6 volte il valore di picco della fase 1. Il picco nel numero dei deceduti in un giorno (993) nella seconda ondata è stato raggiunto il 3 dicembre 2020. Nonostante questo “riequilibrio regionale”, la prevalenza nelle Regioni e PA mostra un chiaro gradiente nord-sud, da 54,4 casi /1.000 abitanti (in Valle d’Aosta) a 10,4/1.000 ab. In Calabria.
Nelle diverse Regioni il dato relativo alla mortalità e alla letalità appare estremamente differenziato. Nel periodo 1 marzo 2020 – 15 dicembre 2020, a fronte di una letalità grezza apparente a livello nazionale di 3,5 ogni 1.000 abitanti, questa assume valori massimi in Lombardia (5,37) e minimi in Campania (1,36), con una differenza di 4 volte. Questo dato dovrà essere approfondito più avanti per comprendere le reali cause di tale variabilità.
Risposta organizzativa a livello nazionale e regionale
Questo rapporto offre una analisi delle modalità di risposta adottate dalle Regioni alla pandemia. L’analisi comparata riguarda la tempestività e le scelte di programmazione sanitaria, la gestione (ospedaliera vs territoriale vs domiciliare) dei pazienti Covid-19 e le dotazioni di personale.
In merito al primo aspetto nella fase iniziale della pandemia in Italia, (subito dopo il 9 marzo) la risposta adottata dalle Regioni Italiane non è stata uniforme. Applicando questa griglia ai dati via via disponibili, è stato possibile isolare tre modelli organizzativi dominanti: quello centrato sull’ospedale, quello centrato sul territorio e quello che prevede una risposta combinata tra ospedale e territorio. Settimana dopo settimana l’analisi del sistema di indicatori applicato ai dati riguardanti le Regioni e resisi disponibili dalle fonti ufficiali ha permesso di assegnare ogni Regione ad uno dei tre cluster.
Tra la prima e la seconda ondata le Regioni hanno sfruttato in varia maniera le risorse disponibili per rafforzare la rete dei servizi. Dopo la prima risposta emergenziale basata sulle indicazioni fornite dalla Circolare del Ministero della Salute del 29 febbraio 2020, con il DL 34 del 29 maggio 2020, il governo invitava le Regioni a rivedere la propria rete ospedaliera per ottimizzare la risposta al Covid-19. Ad un mese di distanza 9 Regioni avevano presentato un piano strutturato al Ministero della Salute. Per altre l’approvazione del Piano sarebbe arrivata solo dopo l’estate.
Sotto il profilo delle dotazioni di posti letto in terapia intensiva, il Report offre una analisi dinamica che mostra adeguamenti avvenuti con ritmi diversi nelle diverse Regioni nella fase della prima emergenza. Dai 5179 letti in dotazione prima della pandemia, si è giunti a 8421 posti letto al 29 aprile 2020. Al momento dell’esplosione della seconda ondata (14 ottobre), però, i posti letto operativi erano scesi a 6458 per poi essere nuovamente implementati dopo un drammatico periodo di sofferenza che ha portato i tassi di saturazione a sorpassare in tutte le Regioni la soglia critica del 30%. Situazione analoga si è osservata per le dotazioni di posti letto in area sub-intensiva con tassi di saturazione superiori alla soglia critica del 40%.
In merito alle dotazioni di personale, il piano predisposto dal Ministero della Salute si basava su una disponibilità di risorse pari a 2,49 miliardi di euro (NAdef 2020) per un totale di circa 30.000 nuovi operatori. Di questi solo la metà poteva contare su un contratto a tempo indeterminato. Nei diversi Report si è testimoniata la distribuzione dei nuovi bandi e delle nuove assunzioni Regione per Regione. Con la seconda ondata è divenuto evidente il disallineamento tra dotazioni tecnologiche e di posti letto e dotazioni di personale con specifiche professionalità: il rapporto tra numero di anestesisti-rianimatori e posti letto di terapia intensiva è sceso da 2,5 a 1,9, con la conseguenza di una riduzione della capacità assistenziale in uno dei punti nevralgici del sistema.
La risposta organizzativa a livello aziendale
L’analisi della risposta organizzativa offerta dal Servizio sanitario nazionale è stata effettuata anche osservando le scelte e le pratiche adottate a livello aziendale. Questo Report offre una sintesi ragionata dei 20 casi aziendali realizzati grazie alla collaborazione del Centro di Ricerche e Studi in Management Sanitario (CERISMAS). I casi riportano esperienze inerenti tre ambiti: (i) i processi di innovazione realizzati a livello interaziendale nella rete dei servizi locali (6); (ii) i processi di riorganizzazione a livello intra-aziendale (11); (iii) i processi di innovazione attivati dalle funzioni di staff (3).
Telemedicina
Sebbene fin dal 2014 fossero disponibili delle “Linee di indirizzo nazionali per la telemedicina”, la diffusione di queste soluzioni negli ultimi 6 anni ha subito una accelerazione solo a partire dal marzo di quest’anno come risposta ad una esigenza emergenziale. Nell’arco di 14 settimane alla dematerializzazione delle prescrizioni per farmaci da parte dei medici di famiglia (Ordinanza del Capo della Protezione Civile del 20 marzo 2020) ben 180 soluzioni per il trattamento a distanza di pazienti Covid-19 (30% delle soluzioni) e di pazienti non Covid-19 sono stato introdotte adottando soluzioni tecnologiche dalle più semplici (es. il telefono) alle più elaborate (nuove piattaforme web o chatbot). Questo “tsunami” ha indotto la Conferenza Stato Regioni, il 17 dicembre 2020 ad adottare il documento proposto dal Ministero della Salute contenente “Indicazioni per l’erogazione di prestazioni in telemedicina”, sorpassando così anni di immobilismo.
Test diagnostici
La diagnostica ha rappresentato un fattore cruciale nell’emergenza Covid. Il test RT-PCR eseguito con tampone naso-faringeo è il gold standard (più di 26 milioni i tamponi realizzati) per la diagnosi del Covid-19. Nella prima fase della pandemia la ridotta disponibilità di questa metodica ha portato a significative differenze nella capacità diagnostica e di tracciamento dei casi. L’iniziale strategia di centralizzazione dei test adottata da alcune Regioni (vedi Lombardia e Lazio) è stata presto abbandonata anche alla luce di approcci più inclusivi adottati da altre Regioni (vedi Veneto). Pur rimanendo l’RT-PCR il gold standard, l’uso dei Test Antigenici Rapidi (TDAR) ha permesso di ampliare le opportunità di tracciamento della popolazione. Il Ministero della Salute dal 29 settembre 2020 ne ha raccomandato l’uso anche a livello scolastico, ma solo il 3 novembre ne è stato autorizzata l’esecuzione da parte dei medici di famiglia e i pediatri di libera scelta.
La Provincia Autonoma di Bolzano rappresenta sul territorio nazionale il primo (ed unico) caso di screening di massa con l’uso del TDAR su una popolazione di 364.039, sui 536 mila residenti.
I test sierologici rapidi, utilizzati come misura di screening, hanno permesso – grazie all’indagine dell’ISS tra il 25 maggio e il 15 luglio – di stimare una prevalenza sull’intera popolazione del 2,5%, che sale al 5,6% negli operatori sanitari.
Impatto economico
Una sezione è dedicata all’impatto economico generato dalla pandemia sul Servizio sanitario nazionale. Le analisi, ancora preliminari ma prudenziali, ci hanno permesso di stimare una spesa ospedaliera che si assesta intorno ai 12,4 miliardi di euro per la gestione dei pazienti Covid-19, ma anche una perdita di attività assistenziale verso gli altri pazienti che è valorizzabile a tariffe DRG intorno ai 5 miliardi di euro. Considerando le altre componenti di spesa (es. tamponi, attività domiciliare e territoriale), l’incremento della spesa corrente per le attività del Servizio Sanitario Nazionale nel 2020 è stimabile tra l’8,4% e il 12,5% rispetto al 2019.