Era circa metà settembre del 1321 quando Dante Alighieri spirò a Ravenna. Quest’anno, quindi, ricorre il 700esimo anniversario dalla morte del Sommo, una delle tre Corone della letteratura italiana. Poeta, letterato, politico, studioso di filosofia e teologia, Dante è riconosciuto da sempre come uno dei padri fondatori della lingua e della letteratura italiana. Un contributo straordinario, un’eredità senza fine che vengono ancora tramandati a distanza di secoli.
Nonostante i molti scritti, l’opera più famosa e conosciuta, anche a livello mondiale, è la Divina Commedia. La trama è risaputa: per salvare la sua anima e ripulirla dal peccato, Dante compie un viaggio attraverso i tre regni dell’oltretomba. L’iter dantesco ha dunque una valenza catartica: si passa dal roboante inferno con i suoi condannati all’Empireo puro e paradisiaco.
E nelle sue tre cantiche, attraverso i suoi cento canti, la Commedia celebra anche la Ciociaria.
Andiamo a vedere più nel dettaglio i brani che testimoniano il legame del Sommo Poeta con i nostri territori.
Anagni, la Città dei Papi
Cominciamo da Anagni, conosciuta come la Città dei Papi. Alagna, per citarla come Dante, fu la patria di quattro pontefici: Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV, Bonifacio VIII.
Nella Divina Commedia viene citata due volte:
- nel Purgatorio, XX v. 86, in riferimento al celebre episodio avvenutovi nel settembre 1303, più conosciuto come lo “Schiaffo d’Anagni”, l’epilogo del lungo dissidio sorto fra Bonifacio VIII e il re Filippo IV, detto Il Bello: Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto, / veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto; (Purgatorio, XX, vv. 85-87);
- nel Paradiso, XXX 148, dove con la perifrasi “quel d’Alagna“, Dante indica sempre Bonifacio VIII. Come si può intuire anche dalla precedente citazione, il Sommo non aveva una bella considerazione del Pontefice: corrotto, senza scrupoli, temuto ed odiato, Bonifacio VIII, tramite una profezia dato che il Papa al momento del viaggio dantesco era ancora in vita, viene collocato da Dante nell’Inferno, tra i simoniaci, cioè tra coloro che erano soliti acquisire beni spirituali in cambio di denaro.
Aquino e San Tommaso
Dante cita Aquino ricordando San Tommaso. Il teologo dottore della Chiesa, oltre ad essere fondamentale nell’impostazione topografica e filosofica dell’intera Commedia, compare come personaggio che parla con il Sommo Poeta nel canto X del Paradiso, nel quarto Cielo, dove sono collocati gli Spiriti Sapienti: Questi che m’è a destra più vicino,/ frate e maestro fummi, ed esso Alberto/ è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. (Paradiso, canto X, vv. 97-99). La figura di San Tommaso comparirà anche nei tre canti successivi della terza Cantica.
Ceprano, dove riposa Manfredi, l’ultimo re svevo
Anche il comune di Ceprano viene nominato dal Sommo Poeta. Ci troviamo nell’Inferno, precisamente nel canto XVIII. Ai vv. 15 e ss., si può leggere: e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie/ a Ceperan, là dove fu bugiardo/ ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,/ dove senz’arme vinse il vecchio Alardo (Inferno, XVIII, vv. 15-18). Qui Dante fa riferimento al trasferimento delle ossa di Manfredi, ultimo re svevo.
Si narra, infatti, che i baroni locali tradirono Manfredi, permettendo all’esercito angioino di passare. Manfredi venne sconfitto a Benevento e si decise di seppellirlo in terra sconsacrata: la scelta ricadde allora proprio nel territorio di Ceprano, sotto un pilone del ponte. Questa storia, di cui però non esiste nessun documento che la possa comprovare, verrà ricordata anche da Manfredi stesso, che Dante incontrerà nel Purgatorio.
Il fiume Liri, il “Verde”
Dante lo cita con il nome in voga al suo tempo, il Verde, e lo ricorda per ben due volte. La prima volta nel Purgatorio. Stiamo nel canto III, nella spiaggia dell’Antipurgatorio, dove Dante incontra le anime degli scomunicati e, in particolare, dove parla con Manfredi, l’ultimo re di Svevia, citato già nel paragrafo precedente.
Manfredi fa riferimento al tradimento e alla sua morte: dopo esser stato sconfitto a Benevento, l’arcivescovo di Cosenza venne incaricato da papa Clemente IV di disperdere le sue spoglie proprio a Ceprano, lungo il Verde, il fiume Liri che viene chiamato così dalle sorgenti fino al suo incrocio con il Rapido; fino alla foce, invece, Garigliano: Or le bagna la pioggia e move il vento/ di fuor dal Regno, quasi lungo ‘l Verde,/ dov’e’ trasmutò a lume spento (Purgatorio, III, vv. 130-132)
Infine, il fiume viene citato anche nel Paradiso, precisamente nel canto VIII: e quel corno d’Ausonia che s’imborga/di Bari e di Gaeta e di Catona,/ da ove Tronto e Verde in mare sgorga.(Paradiso, VIII, vv. 61/63). A parlare è Carlo Martello, amico fraterno di Dante, che ricorda i territori sui quali avrebbe dovuto regnare per diritto di discendenza, essendo figlio di Carlo II d’Angiò e di Maria d’Ungheria, oltre che marito di Clemenza d’Asburgo.
Montecassino, l’abbazia di San Benedetto da Norcia
Ci troviamo al Canto XXII, nel Settimo Cielo del Paradiso, quando Dante viene esortato da Beatrice ad ammirare gli “assai illustri spiriti”: le anime dei Santi sono delle enormi sfere di luce, che si illuminano a vicenda. La più grande è quella di San Benedetto da Norcia, che prende la parola e cita l’Abbazia di Montecassino.
Il Santo, fondatore dell’ordine dei benedettini, racconta a Dante di essere stato il primo a portare la parola del Cristo a Montecassino, prima abitato dai pagani (Quel monte a cui Cassino è nella costa/ fu frequentato già in sulla cima/ da la gente ingannata e mal disposta. Paradiso, XII, vv. 37-39).
La ripida salita del Monte Cacume
Siamo nel canto IV della seconda cantica, precisamente nell’Antipurgatorio: Dante e Virgilio cominciano la faticosa ascesa e raggiungono il balzo che sovrastava la spiaggia.
La prima parte del canto è occupata dalla descrizione della fatica che i due poeti incontrano nello scalare la parete alquanto ripida del monte del Purgatorio. Come spiega Virgilio nel corso dei versi, questo è un elemento emblematico del secondo regno in cui sono giunti: la difficoltà nel salire la montagna ricorda quanto non sia facile il percorso di redenzione e purificazione dell’anima. Man mano che si sale, il percorso diverrà meno ripido.
Nei versi d’apertura, Dante ricorda quattro luoghi faticosi per le loro salite e, tra questi, viene citato anche il Monte Cacume: Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, / montasi si in Bismantova e ‘n Cacume/con esso i piè: ma qui convien ch’om voli; (Purgatorio, IV, vv. 25-27). Il monte Cacume (o Caccume, secondo la toponomastica IGM) è un monte dei Monti Lepini, situati nell’Antiappenino Laziale; più precisamente si trova nel comune di Patrica, in provincia di Frosinone, e confina con la provincia di Latina e con il comune di Giuliano di Roma.
Fonte: D. Alighieri, La Divina Commedia, in A. Dughera, G. Ioli, S. Jacomuzzi, V. Jacomuzzi (a cura di), SEI, Torino 2008
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