Attualità

Cassazione: Epatite C, ministero della Salute condannato a risarcire chi ha contratto la malattia infettiva anche se all’epoca della trasfusione non si conosceva il virus

Condividi su Facebook Condividi su Whatsapp Condividi su Telegram Condividi su Twitter Condividi su Email Condividi su Linkedin
Allergene non dichiarato, richiamati da Ministero salute, Famila e A&O sette formati di pasta per presenza di senape. I lotti

Cassazione: Epatite C, ministero della Salute condannato a risarcire chi ha contratto la malattia infettiva. Irrilevante se all’epoca della trasfusione non si conosceva il virus. Il Ministero della salute aveva comunque l’obbligo di controllare che il sangue donato e utilizzato fosse esente da virus

Lo Stato deve risarcire per l’epatite C anche se all’epoca della trasfusione non si conosceva il virus: questo perché, comunque, la Pubblica amministrazione non ha controllato che il sangue donato e utilizzato fosse esente da virus.

Lo ha stabilito oggi la sesta sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 21145/21. La corte di appello di Bologna aveva respinto la domanda, da parte di un paziente, di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della contrazione del virus Hcv dopo una trasfusione negli anni sessanta. Per il giudice, anche se il Ministero avesse adottato le opportune precauzioni e i dovuti controlli, l’evento del contagio si sarebbe comunque potuto verificare.

Il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione affermando che non spettava al danneggiato dimostrare la prevedibilità del danno all’epoca della trasfusione, sulla base delle conoscenze della comunità scientifica internazionale, ma gravava sul Ministero l’onere di dimostrare di avere adottato tutti gli strumenti di prevenzione noti a quel tempo.

Per la Suprema corte il ricorso è fondato perché il Ministero della salute è tenuto a esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine anche alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati. E risponde ex art. 2043 Cc, per omessa vigilanza, dei danni conseguenti a epatite e a infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi.

Al riguardo, il Collegio ha citato la sentenza delle sezioni Unite del 2008 in cui si è sottolineato che si tratta di un rischio “antico quanto la necessità delle trasfusioni”: dunque, il Ministero della salute era tenuto, anche prima degli anni settanta, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero l’alterazione delle transaminasi.

Pertanto, al giudice del rinvio il nuovo giudizio che dovrà basarsi sul principio di diritto secondo cui “in caso di patologie conseguenti a infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, la responsabilità del Ministero della salute va valutata anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all’apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti agli anni 1978, 1985, 1988).

Questo perché già dalla fine degli anni ’60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus mediante gli indicatori della funzionalità epatica.

Perciò, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, grava sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno 1958, l’obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi”.