Calcio

Frosinone, umiltà e cultura del lavoro per tornare ad essere grandi

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Tre anni e mezzo. Questo il calcolo approssimativo della “Eldorado” frusinate. Oltre 40 mesi di armonia e felicità, partiti dai tempi della Lega Pro e arrivati fino alla serie A.

Quella con il Perugia non potrà mai essere una sconfitta normale per un semplice motivo: al triplice fischio finale, il passionale e civilissimo (è sempre bene ribadirlo per certificare il pedigree di una delle tifoserie più sane d’Italia) pubblico giallazzurro ha – per la prima volta dopo tanto tempo – contestato la prestazione della squadra, con i giocatori che a testa bassa hanno subìto i rimproveri dei tifosi.

Proprio da questo momento “eccezionale” bisogna prendere spunto per ripartire: al centro delle critiche è finito l’atteggiamento generale, giudicato troppo superficiale e non consono ad un campionato di livello come la serie B.

Difficile capire quale sia al momento la malattia di un Frosinone che – bisogna ammetterlo – fatica ad ingranare secondo le aspettative. Probabilmente il succo della questione è stato espresso in maniera limpida dal “saggio” capitan Frara: la squadra deve ancora adattarsi alla nuova dimensione, ritrovando quella grinta e le motivazioni che avevano permesso di fare la differenza nei precedenti campionati.

Se a tutto questo aggiungiamo le ormai croniche difficoltà ad esprimere un gioco convincente nell’arco di tutti i novanta minuti, ecco spiegato il perché di un ribaltone più rumoroso nelle modalità che nella sostanza.

Non bisogna passare improvvisamente dall’entusiasmo allo sconforto – c’è chi domenica sera già parlava di una squadra destinata a lottare per la salvezza – ma nemmeno sottovalutare quei segnali che sono diventati sempre più insistenti nelle ultime giornate.

Il primo a “fiutare” il momento difficile è stato il presidente Stirpe, che in settimana ha tenuto a rapporto la squadra con un discorso da “padre di famiglia” per stimolare i suoi ragazzi a superare il momento difficile, facendo leva sull’orgoglio del gruppo.

Nessun tavolo ribaltato o lavata di testa, abitudini che non sono nello stile di un patron che ha costruito i suoi successi con l’intelligenza e non seminando terrore, ma un dialogo costruttivo per invitare la squadra a ritrovare quei valori che hanno sempre rappresentato l’essenza della storia canarina.

Umiltà, gruppo e cultura del lavoro: tre concetti chiave per superare l’impasse e tornare ad essere grandi, perché le qualità sono oggettive e nessuno può discuterle, ma serve anche l’“incipit” giusto per metterle in pratica. La serie A deve rappresentare un sogno, una nuova conquista e non un ricordo che con il tempo sarà sempre più sbiadito.

Adesso occorre solamente rimettersi la tuta da lavoro e cominciare a pedalare, per tornare a rappresentare l’orgoglio di un popolo che ha goduto ogni successo non per grazia ricevuta, ma prendendo la squadra per mano e accompagnandola in prima persona lungo il cammino.

Tifosi che hanno applaudito i propri beniamini anche nel momento della sconfitta, perché sapevano che in campo era stata spesa fino all’ultima goccia di sudore. Ora che l’unione d’intenti sembra smarrita, è giusto che tutti facciano sentire la propria voce per tornare a riprendere la retta via.