Reddito di cittadinanza: conto in banca con entrate lecite sequestrato a chi falsifica i documenti per ottenere il beneficio. Lo ha stabilito la Cassazione penale
Stop della Cassazione penale ai ‘furbetti’ del reddito di cittadinanza. Scatta il sequestro sui conti del cittadino che falsifica i documenti per incassare il reddito di cittadinanza nonostante non ne abbia i requisiti. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 41183 del 12 novembre 2021, ha respinto il ricorso di una donna che aveva incassato il beneficio pur avendo percepito del reddito da lavoro dipendente. A nulla sono valse le motivazioni addotte dalla difesa per far revocare la misura.
Nella sentenza, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, i Supremi giudici spiegano come bene hanno fatto i giudici territoriali del Tribunale di Macerata a rispondere alle obiezioni del legale che il ha ribadito la confiscabilità delle somme a credito presenti nei conti correnti intestati all’indagata, pari a complessivi euro trattandosi del profitto del reato, anche se su tali conti non erano state accreditate solamente le somme erogate dall’Inps per il riconoscimento all’indagata del reddito di cittadinanza, e ha escluso l’inconsapevolezza della indagata medesima, quale beneficiaria di tale reddito, dell’obbligo di comunicare le proprie variazioni reddituali, rilevanti ai fini del conseguimento di detto beneficio.
Fra l’altro, ha aggiunto il collegio di legittimità, il Tribunale non ha omesso di considerare quanto esposto nella richiesta di riesame, a proposito dell’estraneità al reato di parte delle somme sottoposte a sequestro, sia per essere pervenute nel patrimonio della ricorrente successivamente alla commissione del reato, sia per la loro origine, trattandosi di somme corrisposte all’indagata dall’Inps quali misure a sostegno della maternità e della famiglia (a titolo di maternità e di premio nascita), e di elargizioni pubbliche a sostegno del reddito dei lavoratori in difficoltà, ritenendo irrilevanti tali circostanze in considerazione del carattere fungibile del denaro, sottolineando che sui conti della ricorrente non erano state accreditate solamente dette somme ma anche redditi da lavoro, con motivazione che, benché succinta, è idonea a illustrare le ragioni della ritenuta infondatezza delle obiezioni della donna e dunque non è censurabile sul piano della logicità e della adeguatezza.
Le stesse Sezioni unite hanno infatti chiarito che, «qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificato come confisca diretta e non per equivalente».