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Garze nell’addome, per la Cassazione ne risponde il chirurgo

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Garze nell’addome, per la Cassazione ne risponde il chirurgo. Spetta al capo équipe assicurarsi dell’assenza di ritenzione interna prima di procedere alla chiusura anche se il conteggio del materiale e degli strumenti utilizzati è affidato all’infermiere

Anche il chirurgo che opera risponde con il risarcimento dei danni e la condanna penale per lesioni, dei gravi errori commessi nel corso di una operazione dal ferrista, come dimenticare garze o pinze nell’addome. Lo sottolinea la Cassazione confermando la colpevolezza del capo dell’équipe medica che deve assicurarsi che non vi sia ritenzione interna al sito chirurgico di materiale o strumenti utilizzati prima di procedere alla chiusura.

E ciò anche se la raccomandazione 2/2008 del ministero della Salute affida agli infermieri il compito di contare il materiale in entrata e in uscita nel campo operatorio. Evitare il danno connesso alla ritenzione di materiale nel corpo del paziente è un dovere proprio del chirurgo che deriva dalla posizione di garanzia che il medico assume con l’atto operatorio. In particolare la Suprema Corte con la sentenza 392/22, pubblicata l’11 gennaio dalla quarta sezione penale, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, e che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” riporta, nel caso in concreto ha rilevato che “È prescritto il reato di lesioni personali colpose ascritto al chirurgo, ma il ricorso è respinto agli effetti civili”: il sanitario siciliano dunque dovrà risarcire la paziente che ha riportato una patologia con prognosi superiore ai quaranta giorni a causa della garza laparotomica lasciata nella sua pancia dall’infermiere.

Non trova ingresso la censura della difesa secondo cui al capo dell’équipe competerebbe soltanto costatare l’avvenuto conteggio del materiale in entrata e in uscita e ricevere la relativa scheda infermieristica, dandone atto nella check list che sottoscrive. È vero: in base alla raccomandazione ministeriale spetta agli infermieri fare la conta del materiale introdotto e poi estratto dall’organismo del malato. E il rapporto tra infermiere e medico non si esprime più in termini di subordinazione ma in chiave di collaborazione delle rispettive sfere di competenza, con il primo che assume una specifica posizione di garanzia rispetto alla salute del paziente.

Il punto è che tutti gli operatori coinvolti nell’atto chirurgico devono assicurare l’adempimento degli oneri di controllo che servono a scongiurare l’evento avverso. E dunque il medico viene condannato per culpa in vigilando: è escluso che l’omesso controllo possa essere ritenuto una violazione lieve perché non si accompagna al rispetto di linee guida e buona pratiche ma dipende dall’inequivoca inosservanza di una norma precauzionale imposta al capo dell’équipe chirurgica.