Ancora una volta è emergenza idrica al laghetto del Pertuso! Il bacino artificiale di Trevi nel Lazio, nel Parco Naturale dei Monti Simbruini, è alimentato dall’omonima sorgente che rifornisce l’acquedotto del Simbrivio, la più importante risorsa idrica per buona parte di Roma Città Metropolitana e di molti paesi del frusinate. Ormai da oltre quindici anni è in corso una vertenza contro ACEA ATO2 per le captazioni indiscriminate. Sebbene il limite di prelievo sia stato fissato a 360 litri al secondo mai ACEA ATO2 ha voluto fornire dati sull’effettiva quantità di acqua prelevata dalla sorgente del Pertuso, l’unico dato che ha saputo fornire è che oltre il 60% dell’acqua prelevata si perde per strada per via dei buchi di un acquedotto obsoleto, tutto questo mentre gli utili, tradendo il Referendum del 2011, anziché essere reinvestiti per turare le falle vengono divisi con i soci privati Caltagirone e Suez.
La drastica riduzione di una delle più importanti riserve d’Acqua d’Europa non è cosa da poco in un ecosistema già compromesso da problematiche climatiche, ma soprattutto dai prelievi che vengono fatti senza alcun controllo su tutta l’asta del fiume; quello che storicamente era un fiume con una portata d’acqua notevole, in molti tratti navigabile da grandi imbarcazioni, si è ormai ridotto nell’Alta Valle ad un semplice torrentello e subito dopo Tivoli a poco più di un fosso di campagna il cui ecosistema è inoltre irrimediabilmente compromesso da livelli di inquinamento altissimi dovuti agli sversamenti delle cave di travertino, a depuratori che non funzionano e a scarichi industriali che sversano metalli pesanti.
Veloce però è stata quando si è trattato di intimare, anche ai Comuni che non erano obbligati a farlo, di cedere gli impianti idrici ad ACEA ATO2; il Comune di Roma, socio di maggioranza di un’ACEA, ormai privatizzata e quotata in borsa, nel suo tacere avvalla di fatto la politica dei distacchi idrici e di veri processi di “colonizzazione” nel Lazio, Campania, Toscana, Umbria, in altre parti d’Italia e all’estero, anche attraverso partnership “criminali” come quella con la società israeliana Mekorot.