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La Cassazione. Troppo lavoro ed esaurimento nervoso? L’Inail indennizza il lavoratore ansioso o depresso

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Coperta dall’assicuratore pubblico ogni forma di tecnopatia che è conseguenza di attività lavorativa, anche se non rientra fra le malattie o i rischi tabellati, ma risulta frutto dell’organizzazione d’impresa

L’Inail deve indennizzare anche il lavoratore affetto da nevrosi d’ansia o sindrome depressiva. “Sono esaurito per il lavoro”: alzi la mano chi, in un periodo di forte stress a lavoro, non ha pronunciato per sfogo una frase del genere lamentandosi con il partner, con gli amici o i parenti. Ma la situazione può degenerare e comportare una diagnosi medica. In questo caso lo stress per il troppo lavoro o le eccessive responsabilità e pressioni nella gestione degli incarichi rientra nella sindrome da burnout, o esaurimento nervoso, e ha effetto anche a livello di assenza per malattia.

Di per sé lo stress da lavoro correlato non è qualificabile come malattia. Tuttavia può diventarlo ed essere indennizzato dall’Inail come malattia professionale se comporta danni fisici o psicologici al lavoratore stressato. E ciò perché la copertura dell’assicuratore pubblico risulta estesa a ogni forma di tecnopatia che può ritenersi conseguenza dell’attività lavorativa, anche se non rientra fra le malattie o i rischi tabellati: il lavoratore deve solo dimostrare il nesso fra l’attività patogena e la malattia diagnosticata. Che dunque risulta assicurata pure se dipende dalle modalità organizzative del rapporto di lavoro.

È quanto emerge da due ordinanze pubblicate l’11 ottobre 2022 dalla sezione lavoro della Cassazione. La prima ordinanza boccia la decisione della Corte d’appello che nega l’indennizzo Inail al lavoratore per la nevrosi d’ansia diagnosticatagli a causa del demansionamento patito. Sbaglia il giudice del gravame quando ritiene che la copertura assicurativa dell’ente scatterebbe soltanto se la patologia risulta legata a una specifica lavorazione indicata dall’articolo 1 del testo unico su infortuni e malattie professionali. In realtà è grazie all’articolo 13 del decreto legislativo 38/2000 che la malattia risulta indennizzabile anche quando deriva dall’organizzazione del lavoro e dalle modalità con cui si svolge la prestazione: tanto che la Suprema corte ha riconosciuto la copertura Inail allo stress da lavoro straordinario, alla patologia psichiatrica da mobbing e alla malattia da fumo passivo. Il rischio assicurato dall’ente pubblico non è soltanto quello specifico proprio della lavorazione ma anche quello collegato alla prestazione erogata. E dunque l’istituto previdenziale copre tutte le malattie delle quali risulta provata la causa di lavoro. Parola al giudice del rinvio.

La seconda ordinanza accoglie il ricorso della lavoratrice dopo una doppia sconfitta in sede di merito. Sbagliano il Tribunale e la Corte d’appello a negare l’indennizzo Inail per il danno biologico: la donna accusa un disturbo dell’adattamento con umore depresso dovuto alla situazione lavorativa, così come accertato dai medici. E non si può escludere la copertura assicurativa per la lesione psichica patita dal lavoratore in condizioni di «costrittività organizzativa» soltanto perché il Consiglio di Stato ha annullato una circolare Inail del 2003 e il dm 134/04.

Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “È incongrua la distinzione fra malattia fisica e psichica quando la patologia ha origine nel rapporto con il datore: il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, esponendola a rischi rilevanti in entrambe le sfere. Il fondamento della tutela assicurativa, osservano d’altronde gli “ermellini”, non sta tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; così come l’articolo 38 della Costituzione tutela l’infortunio in sé e non l’eventualità che il sinistro si verifichi; un’interpretazione confermata dall’articolo 10 del dlgs 38/2000 secondo cui sono malattie professionali anche quelle non tabellate se si prova la causa di servizio”.