Un traffico di materiale esplodente è stato scoperto dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma che hanno sequestrato, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, tra Roma, Salerno, Minturno (LT) e Robilante (CN) – 85 chilogrammi di “botti” illegali e 570 chilogrammi di artifici “classificati”, poiché detenuti in difetto della licenza rilasciata dall’Autorità di Pubblica Sicurezza.
Le Fiamme Gialle del Gruppo di Frascati, monitorando i social network, si sono imbattute in un uomo residente a Roma che, attraverso Facebook, pubblicizzava la vendita di prodotti esplodenti. La perquisizione della sua abitazione, ubicata nel quartiere di Pietralata, ha permesso di rinvenire circa 15 chilogrammi di fuochi d’artificio che, dagli accertamenti svolti, sono risultati provenire da un grossista di Salerno. Quest’ultimo, anch’egli sottoposto a perquisizione domiciliare, ricevute le ordinazioni, si avvaleva di spedizionieri per la consegna dei fuochi, che viaggiavano formalmente come “derrate alimentari”, mettendo seriamente a repentaglio anche l’incolumità dei conducenti degli automezzi impiegati per il trasporto.
La Procura della Repubblica di Roma, grazie agli elementi acquisiti, ha disposto la perquisizione dei locali e delle abitazioni riconducibili a quattro acquirenti, che ha permesso di sequestrare ulteriori quantitativi di artifici pirotecnici.
Sette persone dovranno rispondere del reato di detenzione e vendita abusiva di materiale esplodente, ipotesi di reato previste e punite dagli artt. 678 e 679 del Codice Penale e 47 e 53 del Testo Unico per le Leggi di P.S. e, in attesa di giudizio definitivo, vale la presunzione di non colpevolezza. L’operazione rientra nel più ampio dispositivo di contrasto ai traffici illeciti predisposto dal Comando Provinciale di Roma, intensificato in attuazione delle determinazioni adottate di recente dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica della Capitale.
Per dovere di cronaca, e a tutela degli indagati, ci teniamo a ricordare che quanto detto non equivale a una condanna. Le prove si formano in Tribunale e l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio. Resta dunque valida la presunzione di non colpevolezza degli indagati.
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