Il Comune è tenuto a risarcire i disabili quando non abbatte le barriere architettoniche: in questo caso lasciando che un parcheggio fosse raggiungibile solo con una scala mobile non percorribile dai cani guida.
La sentenza
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con l’ordinanza 9384/2023 pubblicata il 5 aprile 2023, ha respinto il ricorso dell’ente locale, confermando il diritto al ristoro.
Per la terza sezione civile del Palazzaccio, è doveroso premettere che la legge n. 67 del 2006 appresta misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità che siano vittime di discriminazioni, al fine di garantire alle stesse, in attuazione di principi costituzionali (di eguaglianza e di parità di trattamento) e sovranazionali (art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), «il pieno godimento dei diritti civili, politici, economici sociali». Infatti non permettere al disabile la frequentazione agevole dell’intero territorio comunale è un atto discriminatorio. Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la nozione di discriminazione è positivamente definita dalla legge n. 67 del 2006 attraverso due possibili declinazioni: la discriminazione diretta, la quale si verifica ogni qualvolta una persona, per motivi connessi alla disabilità, riceve un trattamento diverso e meno favorevole di quello riservato ad una persona non disabile in situazione analoga; la discriminazione indiretta, la quale si configura quando «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri» mettano una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. Insomma, la sentenza di secondo grado ha ravvisato la sussistenza di un interesse concreto ed effettivo a fondamento dell’azione promossa: « i ricorrenti hanno denunciato una asserita condotta discriminatoria di cui ciascuno di essi assume essere stato vittima essi, pur essendo afflitti dalla medesima disabilità di non vedenti, hanno agito facendo valere non gli interessi della categoria di cui fanno parte, quanto piuttosto l’interesse di ciascuno a non subire atti discriminatori proprio perché non vedente. Va ritenuto sussistente quindi l’interesse degli appellanti, e di ciascuno di essi, alla proposizione dell’azione risarcitoria, che hanno proposto cumulativamente, ma non come azione collettiva».