Cosa succede al cervello durante un arresto cardiaco, quando il flusso sanguigno si interrompe, la respirazione si arresta, la persona perde i sensi e viene considerata clinicamente morta?
Oltre la vita, ricercatori premorte affermano: “Più di semplici sogni o allucinazioni”. Lo studio: ecco cosa emerge
“Dopo l’arresto cardiaco, il cervello rimane attivo”: a sostenerlo uno studio condotto dai ricercatori della Grossman School of Medecine di New York che ha dimostrato che, in questa fase, il cervello rimane particolarmente attivo.
Ciò potrebbe spiegare perché alcune persone, riportate in vita dopo un arresto cardiaco, sono in grado di raccontare delle loro esperienze post-mortem. Stando agli autori dello studio, i ricordi di queste persone sono chiari e nitidi. Includono, ad esempio, la percezione della separazione dal corpo e, a volte, una dettagliata revisione cinematografica della propria vita.
“Queste esperienze sono state precedentemente interpretate dalla scienza come allucinazioni, illusioni o sogni”, dichiara il responsabile dello studio e cardiologo Sam Parnia. Ma secondo lui e il suo team, si tratterebbe di altro. In una fase del genere, il cervello disattiva i suoi sistemi inibitori.
Ciò gli permette di recuperare i ricordi immagazzinati, dalla prima infanzia al momento dell’arresto cardiaco: “Non sappiamo quali siano i vantaggi evolutivi di questo fenomeno. Ma sembra che aiuti le persone a passare dalla vita alla morte”, afferma Parnia.
Il suo team ha documentato e analizzato le esperienze post-mortem di persone sopravvissute all’infarto negli Stati Uniti e in Inghilterra. Quattro pazienti su dieci hanno dichiarato di essere stati al corrente dei tentativi di rianimazione di medici e infermiere. Una buona parte di essi ha anche parlato di esperienze post-mortem, descrivendole come profondamente spirituali. L’attività del cervello in questa fase è stata dimostrata anche da misurazioni effettuate con l’elettroencefalogramma.
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Circa il 40% delle persone esaminate hanno dimostrato di essere cerebralmente attive fino a un’ora dopo l’inizio degli sforzi di rianimazione. E questo, nonostante fossero stati dichiarati clinicamente morti. La scoperta solleva una serie di interrogativi sulle capacità di resistenza del cervello in assenza di ossigeno. Normalmente, il cervello subisce danni permanenti dopo una decina di minuti. Ma i dati dimostrano che può rimanerne sprovvisto di ossigeno per più tempo.
«Lo studio apre una porta su quello che accade quando una persona muore», afferma Parnia. «In futuro, questi risultati potrebbero persino darci indizi su come proteggere o addirittura preservare il cervello da lesioni». Per i ricercatori, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti“. si tratta del primo passo verso il trapianto di cervello.
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