Risponde del reato di peculato il dipendente pubblico che usa il cellulare e la connessione internet dell’ufficio a scopo personale.
La Cassazione: risponde di peculato il dipendente che va sul web in ufficio. I dettagli sulla sentenza
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, con la sentenza 40702/23 pubblicata il 5 ottobre 2023 dalla sesta sezione penale.
Accolto il ricorso proposto dalla SPA pubblico-privata costituitasi parte civile contro l’ex responsabile degli acquisti, dopo il rigetto dell’appello ai fini civili e l’assoluzione pronunciata in primo grado.
Il fatto è che durante l’orario di servizio il dirigente sta su Internet per almeno quattro o cinque ore al giorno, coltivando le sue passioni: la storia militare, su cui ha scritto dei libri, e i siti hard, al punto che il pc dell’ufficio risulta pieno più di materiale privato che aziendale.
Il danno alla sfera economica dell’ente è escluso dai giudici del merito sul rilievo che i file “incriminati”, soprattutto video e foto hot potrebbero essere stati trasferiti sul pc aziendale da un portatile con la memoria piena. Il tutto mentre il consulente di parte civile accerta che sul computer d’ufficio sono utilizzati filtri per rendere anonima la navigazione, eludendo il blocco dei siti porno previsto dal sistema.
E la perizia informatica disposta d’ufficio dimostra che l’uso privatistico del pc di servizio è stato tutt’altro che «episodico e modesto», tanto che il dipendente è stato licenziato per la gravità del suo comportamento.
Ad avviso del Collegio di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Il peculato d’uso è escluso solo se l’uso episodico e occasionale del bene di servizio non lede la funzionalità dell’amministrazione. La navigazione a sbafo non determina un aggravio di spesa per la spa perché la tariffa web non è più a consumo, ma i giudici di merito non considerano che il dirigente sottrae circa mezza giornata di lavoro all’azienda, creando verosimilmente una disfunzione organizzativa. La causa continua di fronte al giudice civile competente per valore in grado di appello”.
Per dovere di cronaca, e a tutela di eventuali indagati in caso di indagini, ci teniamo a ricordare che quanto detto non equivale a una condanna. Le prove si formano in Tribunale e l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio. Resta dunque valida la presunzione di non colpevolezza degli indiziati.
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