La Cassazione adotta la linea dura contro il revenge porn. Può essere condannato per violenza sessuale consumata chi ricatta vittima on line per ottenere immagini di autoerotismo e ciò anche senza alcun vero contatto fisico.
Violenza sessuale in rete: ora è perseguibile. La decisione della Cassazione
A dirlo è la Suprema corte che con la sentenza 10692/24 della terza sezione penale, pubblicata oggi 14 marzo 2024, ha confermato la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione a carico di un uomo che aveva ricattato su Facebook una ragazza per avere immagini mentre si masturbava. La difesa di lui aveva tentato di smontare l’impianto accusatorio sostenendo che la violenza sessuale non era stata affatto consumata.
Per il legale la Corte d’Appello di Palermo ha non illogicamente attestato che, dopo aver inizialmente ottenuto immagini intime che rappresentavano la persona offesa nuda, da lei spontaneamente autoprodotte e a lui trasmesse nell’ambito di un iniziale rapporto telematico consenziente, l’imputato aveva poi costretto la ragazza, che a ciò si era determinata per timore delle minacce ricevute (di violenza, anche di morte, e di diffusione telematica a terzi del primo materiale pornografico spontaneamente trasmesso), a mandargliene altre e a inviargli anche video riproducenti atti di autoerotismo parimenti commessi a seguito di costrizione, donde la corretta qualificazione del fatto quale violenza sessuale consumata.
La tesi è stata invece confermata dalla terza sezione penale del Palazzaccio secondo cui in relazione al delitto di cui all’articolo 609-quater cod. pen., ma con l’espressione di principi di valenza generale – si deve ritenere che anche ai fini del reato di violenza gli atti di masturbazione rilevano quali atti sessuali non solo quando con costrizione praticati dall’agente a terzi o da costoro al primo, ma pure laddove la persona offesa sia stata costretta a praticarli su sé medesima, non essendo necessario il contatto fisico fra l’agente e la vittima.
Ad avviso degli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, rincarano la dose hanno spiegato che “ Non può, quindi, negarsi la possibilità della realizzazione del reato contestato anche per via telematica, quando il reo, utilizzando strumenti per la comunicazione a distanza quali il telefono, la videochiamata, la chat, costringe la persona offesa a compiere atti sessuali pur se questi non comportino alcun contatto fisico con l’agente Il ricatto da leone da tastiera costerà all’uomo un anno e mezzo di reclusione senza sconti.”.
Dello stesso avviso la Procura generale del Palazzaccio che aveva sollecitato di rendere definitiva la condanna.
Foto di repertorio
Per dovere di cronaca, e a tutela di eventuali indagati in caso di indagini, ci teniamo a ricordare che quanto detto non equivale a una condanna. Le prove si formano in Tribunale e l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio. Resta dunque valida la presunzione di non colpevolezza degli indiziati.
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