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Colleferro, il Castello di Piombinara dichiarato bene d’interesse culturale particolarmente interessante

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La Commissione Regionale per Il Patrimonio Culturale del Lazio, ha decretato ai sensi dell’art. 10, comma 1 del D. Lgs. 22.01.2004, n. 42 e ss.mm.ii che il complesso immobiliare denominato “Castello di Piombinara”, sito in Colleferro (RM), Piombinara, via Casilina snc km 49, distinto in Catasto al Comune di Colleferro (RM) alla sez. B (Segni Scalo) foglio 11 part.lle 15, 16, è dichiarato di INTERESSE CULTURALE PARTICOLARMENTE IMPORTANTE E VIENE QUINDI SOTTOPOSTO A TUTTE LE DISPOSIZIONI DI TUTELA CONTENUTE NELLA NORMATIVA VIGENTE.

Colleferro, il decreto notificato al Comune, proprietario del bene

Come previsto dell’art. 15 del D. Lgs. 22.01.2004 n. 42 e ss.mm.ii il decreto è stato notificato, nei giorni scorsi, al Comune di Colleferro, proprietario del bene, a cura della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti.

Questo importante risultato che si va a sommare a quelli ottenuti per il Castello Vecchio (Castello di Colleferro) e la Città Morandiana, è il frutto di una sinergia di lavoro che ha visi impegnati l’Ufficio Tecnico e Comune e Museo Archeologico Comunale, partita più di un anno fa e arrivata felicemente alla agognata, positiva conclusione. Un altro tassello di tutela del patrimonio storico e archeologico che si va ad aggiungere al mosaico di salvaguardia del territorio voluta dall’Amministrazione.

Un poco di storia

Le notizie storiche riverite a questo Castello ne confermano l’importanza è il ruolo primario avuto in particolare nel primo medioevo. Le prime fonti storiche riferibili al Castello di Piombinara risalgono all’XI e al XII secolo: in un documento del 1051 viene ricordato il monastero di S. Cecilia, di pertinenza del castello, come sede in cui si rifugiò l’abate Oddone in fuga dal Monastero di Subiaco; successivamente, si fa riferimento a un castrum in un atto stipulato ad Anagni il 17 febbraio 1102, dove si dice che qui dimorava una nobile Maria che partecipò alla vendita di un orto presso Colle S. Angelo in Anagni; nel 1117 una nobile matrona ex Plumbinaria, durante la guerra tra Tolomeo dei Conti di Tuscolo e i Normanni, parteggiò per questi ultimi.

Il castello è citato in una bolla di Papa Lucio III del 1182, insieme alle chiese di sua pertinenza (S. Maria, S. Anstasio, S. Nicola, S. Barbara, S. Giorgio e il già citato monastero di S. Cecilia), tra i possedimenti della Diocesi di Segni; in questo periodo sembra essere stato uno dei castra più importanti e ricchi. Dal XIII secolo, in concomitanza con il pontificato di Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni), i documenti al riguardo sono molto più ricchi e coincidono con il passaggio del Castello tra i domini della famiglia Conti, che si tramanderanno almeno fino al XV secolo.

In quest’ultimo periodo il Castello conobbe una fase di decadenza fino a quando, nel 1431, venne irrimediabilmente distrutto e non fu più ricostruito: esso appare nelle fonti come castrum dirutum o tenimentum. Nel corso del XVI secolo il castello era ormai abbandonato e il territorio non aveva ancora acquisito il carattere agricolo, che invece lo contraddistinguerà nei secoli successivi.

Nel 1575, alla morte di Giovan Battista, ultimo discendente in linea diretta della famiglia dei Conti, la tenuta passò agli Sforza, poi in seguito ai Borghese, ai Barberini e infine alla famiglia Pamphilj nel 1651. L’interesse su Piombinara era oramai prevalentemente di carattere economico: i Pamphilj, proprietari di vasti possedimenti nella zona tra Valmontone e Carpineto, organizzarono vere e proprie aziende agricole date in affitto e il territorio di Piombinara venne frazionato in zone di pascolo, boschi e aree di coltivazione.

Tale processo, avviato nel XVII secolo, si consolidò nel corso del Settecento e dell’Ottocento. I resti dell’antico palazzo caddero nel più completo abbandono. Nel corso del XVII e XVIII secolo, in base a quanto si legge nelle visite pastorali, l’unica struttura che persiste è la Chiesa di Santa Maria afferente alla proprietà, custodita da un eremita che continua ad officiare. La Chiesa di S. Maria risulta essere l’ultimo edificio afferente al Castello ad essere distrutto; di essa rimane infatti soltanto il campanile, che sorge lungo la via Casilina.

Anche se l’esistenza del Castello di Piombinara è attestata dai documenti a partire già dall’XI secolo, le strutture ancora conservate e visibili sono da riferirsi principalmente al XIII secolo, mentre al XIV secolo viene attribuito l’ampliamento del palazzo. Il castello, che si imposta sulla sommità di una collina tufacea a diretto controllo del territorio circostante, è da ascriversi alla tipologia di rocche con recinto, torre e palazzo. La maggior parte dei resti sono pertinenti alla cinta muraria esterna, meglio conservata nel settore N-E, il cui andamento segue un perimetro quasi rettangolare con una svasatura verso sud (lunghezza massima 290 m; larghezza massima 120 m). Nel tratto più conservato si nota come le mura siano rafforzate da torri rettangolari, poste a distanze diverse tra loro e aperte verso l’interno.

Lo spessore della muratura, costituita da tufelli regolari, è di ca. 40-50 cm. Sui lati corti N e S del recinto murario dovevano posizionarsi due ingressi, quello a N, ormai perduto, e quello a S, ancora discretamente conservato. La rocca, che si articolava intorno alla torre centrale, occupava l’angolo S-E del Castello; per quanto sinora noto, essa era costituita da due complessi affiancati, l’uno identificabile col palazzo baronale che incorporava il torrione angolare, l’altro che inglobava l’alta torre.

Delle partizioni interne rimangono poche tracce, che rivelano in ogni caso più fasi di intervento. Sia la cinta muraria del Castello di Piombinara, sia parte delle sue strutture interne, sono ascrivibili al primo quarto del XIII secolo. Ad un restauro effettuato probabilmente nel XIV secolo sono invece da attribuire parti del recinto e alcune torri che presentano cantonali squadrati, tipici dell’architettura della zona in quel periodo, legata soprattutto alla lavorazione del calcare.

L’area del castello è stata oggetto di diverse indagini archeologiche condotte dal Museo di Colleferro sotto direzione scientifica del Dr. Angelo Luttazzi e della Soprintendenza, a partire dagli studi e dalle ricognizioni del Gruppo Archeologico Toleriense che hanno interessato sia l’area del Castello che le zone limitrofe negli anni Settanta del secolo scorso.

I risultati di queste ricerche, sia pure a livello superficiale, avevano già evidenziato un’area ricca di frammenti: i dati archeologici attestavano fasi di frequentazione a partire dal Paleolitico superiore fino al XIII – XV secolo d.C. Al Paleolitico superiore sono da attribuire alcuni frammenti di selce, seppur rinvenuti in giacitura secondaria. Un cospicuo numero di materiali di età romana, databili in un arco cronologico compreso tra il periodo arcaico fino al II secolo d.C., ha fatto ipotizzare la presenza di un abitato di capanne prima e, successivamente, di una villa rustica, legata ad attività produttive.

Per finire, la presenza considerevole di ceramica di VIII-IX secolo e, soprattutto, di XIII-XV secolo attesta il primo impianto del Castello e, in seguito, la fase di massima vitalità dello stesso.

A partire dal 2004 e fino al 2013 le campagne di scavo sistematiche presso il Castello coadiuvate anche da preventive indagini geofisiche, hanno messo in luce alcune strutture murarie che hanno contribuito a delineare l’articolazione dell’area interna alla cinta muraria e che hanno permesso di riportare alla luce la chiesa castrense e il suo cimitero. Della presenza di una chiesa “diruta” all’interno del Castello dà testimonianza lo scrittore americano Henry Perry Leland, che nella metà dell’Ottocento soggiornò a lungo nella vicina città di Segni. La piccola ecclesia si trovava nel lato sud-occidentale del castello, e dai dati emersi sembrerebbe antecedente la costruzione del castello.

Dell’impianto della chiesa, infatti, sono state riconosciute tre differenti fasi costruttive: un impianto originario, dell’’VIII-IX secolo d.C.; una seconda fase dell’XI-XII secolo e l’ultima fase è da ascrivere al XIII-XVsecolo. La chiesa è stata identificata con quella intitolata a S. Nicola. Pertinente a questo piccolo edificio ecclesiastico è il cimitero, di cui sono state recuperate in totale 116 sepolture, disposte sia all’interno che all’esterno della chiesa; 30 tombe sono state individuate sub stillicidio, e, in base ai dati stratigrafici possono essere datate tra l’XI e gli inizi del XIII secolo.

L’area cimiteriale all’interno della chiesa risulta essere maggiormente manomessa a causa dei lavori agricoli; tuttavia, sono state recuperate in totale 85 sepolture appartenenti a differenti tipologie,, databili in un arco cronologico più ampio, tra VIII e XV secolo, e con la presenza di corredi e oggetti personali. Molto interessanti, infine, i numerosi frammenti di affreschi policromi rinvenuti durante lo scavo e che dovevano costituire la decorazione dell’edificio.

Un doveroso ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso di raggiungere questo risultato che permetterà sicuramente di raggiungere importanti obiettivi di recupero di questo capitale sito d’interesse storico e archeologico.