Proprio in questi giorni sono stati diffusi i nuovi dati Istat sulla situazione demografica del nostro Paese dati, ancora una volta, tutt’altro che incoraggianti. Effettivamente nel Bel Paese le nascite sono in netto calo, toccando il minimo storico dall’Unità d’Italia, e la maggior parte della popolazione ha più di 40 anni.
Molti giovani, che dovrebbero incrementare le nascite invertendo la tendenza, fuggono all’estero nella speranza di un’aspettativa di vita più florida. Chi decide, invece, di rimanere nel proprio Paese non se la passa certo meglio: probabilmente lavora tanto, guadagna poco, è sfruttato e non può certo permettersi di mantenere una famiglia.
Il Governo, per cercare di far fronte a questa situazione, lo scorso 22 settembre ha indetto il Fertility day, una delle iniziative, a mio avviso, più aberranti che avesse potuto promuovere. Sul sito dedicato all’evento si legge: “La giornata è promossa dal Ministero della Salute per aumentare soprattutto nei giovani la conoscenza sulla propria salute riproduttiva e fornire strumenti utili per tutelare la fertilità attraverso la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura della malattie che possono comprometterla e le tecniche di Procreazione medicalmente assistita”.
Eh già, perché invece di promuovere una seria politica per le famiglie, magari prendendo spunto dai Paesi più virtuosi, il Governo ha pensato bene di indire una campagna per sensibilizzare i giovani a non compromettere la propria fertilità ovvero a non aspettare i 40 per avere un figlio.
Tralasciando i dettagli che hanno provocato l’indignazione di molti, è indiscusso il fatto che, probabilmente, occorre un serio programma politico in grado gettare basi concrete per le condizioni favorevoli alla famiglia. Mettere su una famiglia oggi in Italia significa sacrificio e frustrazione, bisognerebbe quantomeno eliminare la frustrazione.
Questa situazione, inoltre, è connessa a tutta un’altra serie di fattori imprescindibili dei quali occorre tenere conto: il primo è il lavoro. Senza lavoro, oltre a non riuscire ad ottenere una certa realizzazione personale, non si ha uno stipendio. Il secondo è l’emigrazione: molti giovani decidono di partire nella speranza di un futuro migliore cosa che, oltretutto, non sempre accade.
A mio avviso, i figli si desiderano quando si è raggiunto un quantomeno discreto grado di realizzazione e di stabilità personale, non certo pensando alla Nazione in cui si vive o ai dati Istat che ne dipingono il ritratto decadente. Allora occorre cercare di rendere la popolazione realizzata attraverso una politica concreta di benefici ed incentivi, innanzitutto per il lavoro e poi per la famiglia.