Uno dei protagonisti sarà Emiliano Begni, musicista affermato nel panorama culturale non solo castellano, ed è lui a rispondere ad alcune domande dettate dalla curiosità di sapere cosa bisognerà aspettarsi da una serata che per ora lascia trasparire, dalla locandina, tanti illustrissimi nomi, un titolo chiaro e allo stesso tempo ermetico, e una location tra le più suggestive dei Castelli Romani.
Emiliano Begni, “Quando la parola si fa stile”: sarai al pianoforte in una serata che ha un titolo estremamente intrigante. Cosa volete esprimere, anche vedendo le immagini nella locandina, con l’affermazione scelta per denominare l’evento?
Sarò al pianoforte in una serata che si propone di richiamare l’attenzione sui grandi innovatori del pensiero dello scorso secolo: quando la parola acquisisce una forza tale da varcare i confini del Millennio e influenzare il modo di scrivere e fare musica oggi, vuol dire che quella forza è una specie di vortice che va solo incanalato per poter arrivare alla mente e al cuore di tutti. La parola è ancora l’arma più potente che abbiamo in questo mondo dove abbiamo paura di essere travolti da un camion mentre facciamo gli acquisti natalizi.
Perché proprio questi autori – cantautori, poeti e liberi pensatori – e c’è un filo conduttore che li accomuna, nel progetto che avete presentato insieme agli altri organizzatori?
De André, Gaber, Pasolini, Merini, Modugno, Fossati: sono solo alcuni esempi di personalità che hanno saputo osservare e descrivere il mondo circostante riconoscendo nella contingenza tratti propri dell’universalità. Ecco perché possono essere maneggiati, manipolati, adattati eppure rimangono sempre potentissimi e attuali, anzi, quasi avveniristici. Ovviamente la scelta è anche legata a un gusto personale dato da ascolti di una vita.
Riguardo la tua formazione, qual è stato il percorso artistico che hai intrapreso e quali, a grandi linee, le esperienze musicali che ricordi con maggior piacere?
Ho un percorso molto variegato che spazia dal pianoforte classico e l’italian graffiti in tenera età e poi approda dopo qualche anno in America facendomi appassionare a jazz, gospel e blues. A un certo punto è subentrata la predilezione per la vocalità (corale soprattutto) ma anche per le voci che “raccontano”: nella musica italiana ho trovato solo esempi illustri fra i cantautori (Dalla, Battisti/Mogol, Tenco, Ciampi, De André, Fossati ecc.). Collaboro stabilmente con Rossana Casale, cantante e autrice che racchiude perfettamente le mie due stesse nature cantautorale e swing. Ho avuto anche l’onore di lavorare con Maurizio Fabrizio, che di musica italiana di qualità ne ha scritta veramente tantissima, ma anche la dimensione teatrale (Vincenzo Cerami, Nicola Piovani e poi tantissimi musical) ha segnato profondamente il mio modo di vivere il palco.
Domanda generica e difficile: che cos’è per te la musica? C’è un cantante o un musicista che hai preso come modello?
La musica è un linguaggio a tutti gli effetti, ma è anche un rifugio e come tale rischia di isolarti troppo dal mondo esterno: ecco perché andrebbe diffusa la sua dimensione “solitaria” affinché non sia il frastuono radiofonico a bombardare senza senso le nostre orecchie bensì un piccolo insieme di emozioni molto più durature e meno rumorose. Intendo dire che spesso mi trovo a casa con pochissime persone e in quell’atmosfera raccolta si realizzano piccoli capolavori d’arte: se solo fossero diffusi questi piccoli “miracoli della condivisione” (e chissà quanti ce ne sono sconosciuti ai più), saremmo tutti decisamente più ricchi. Quantomeno più sensibili, piuttosto che annichiliti dal nulla continuo. I miei grandi riferimenti pianistici: Bill Evans, Michel Petrucciani, Herbie Hancock e in Italia Lelio Luttazzi. Poi sento cantare Billie Holiday e mi ricordo perché la voce umana è unica.
Come valuti la qualità e il panorama musicale italiano attuale, e c’è qualche cantante che a tuo avviso può farsi strada o può essere comparato, magari in futuro, ai grandi nomi della musica come quelli che porterete sul palco?
Purtroppo lo stato attuale delle cose non permette questa diffusione, ma la cosa peggiore è che se Lucio Battisti avesse 20 anni oggi non farebbe successo. Questo perché l’attenzione è spostata non sulla personalità ma sull’apparenza e sulla funzionalità in termini di likes visto che ormai nemmeno si vende più il disco fisico. Io credo che però non sia cambiata la sensibilità delle persone: quello che è cambiato è il modo di utilizzo esiste tanta bella musica e esistono tante persone bravissime che faticano a farsi sentire. Oggi non è più pensabile “vivere di musica” se vuoi dire la tua: per fare i soldi devi dire la loro, altrimenti dici la tua e fai la fame. Tra gli emergenti amo tantissimo Giovanni Truppi perché è finalmente uno che ha rotto gli schemi del modo di scrivere. Meno emergente di lui, ma comunque non certo una popstar, apprezzo tantissimo Tricarico perché dal vivo è pazzo e mi ha steso in quanto a comunicatività. Renzo Rubino e Miele sono interessantissimi. Dal canto mio ho iniziato anche a scrivere musica e testi per un altro progetto musicale totalmente autoprodotto perché preferisco continuare a rispettare quest’arte antica come l’uomo senza svenderla o corromperla.
Se dovessi invitare uno spettatore a venire a vedere “Quando la parola si fa stile”, quali motivazioni addurresti? Che tipo di evento ci si deve aspettare?
Inviterei chiunque si lasciasse convincere a farsi accarezzare le corde dell’anima da un concerto intimo, quasi da camera, dove ogni parola ha un peso e dove la costruzione degli arrangiamenti e l’alternanza delle letture (il gaberiano teatro-canzone insegna) contribuiscono ad un unicum che non saprei rinchiudere in un solo stile (perdona il gioco di parole): si passa dal jazz, all’etnico, al folk. Il cuore addosso del titolo dell’album che abbiamo inciso è esattamente l’involucro che racchiude tutto.
Da quanto tempo collabori con Daniela Di Renzo? Come è nata questa collaborazione e come vi trovate, insieme agli altri musicisti?
Daniela è passata dall’essere allieva di una mia amica cantante, a mia allieva di pianoforte, a mia amica. E poi è diventata anche una collaboratrice e un’ispiratrice, ma soprattutto un motore inesauribile di iniziative sempre di qualità. Sicuramente il disco, che ha avuto una lunga gestazione dalla prima volta in cui lei mi disse timidamente, è il “figlio” che nessuno di noi due ha e si può dire che sia nato dal lavoro calibrato di entrambi (la sua genesi melodica e verbale e la mia successiva rimanipolazione e ricomposizione armonica e ritmica soprattutto). La scelta degli altri musicisti è stata dettata dalla naturalezza delle cose e non da una decisione a tavolino. E credo questo si senta: Francesco Consaga (sax e flauto), Ermanno Dodaro (contrabbasso), Stefano Ciuffi (chitarra) non sono turnisti, ma sono dei pittori ognuno del proprio strumento, oltre che bravissimi compositori a loro volta. La scelta di persone che non eseguono ma che creano e interpretano quello che l’arrangiatore ha più o meno in testa è decisiva per un disco così vestito di note spontanee. Gli altri due ospiti sono altri fuoriclasse: Antonello Salis (fisarmonica), che ha lavorato a briglie sciolte, e Gionata Costa (violoncello) che ha addirittura registrato dall’Emilia Romagna. Una piccola chicca: ultimamente abbiamo avuto l’onore di lavorare insieme a uno dei fidati musicisti di Fabrizio De André, il chitarrista Michele Ascolese, il quale, oltre ad omaggiarci della sua presenza in un live, ha definito il progetto di grande contenuto. Non possiamo che esserne contenti, detto da uno che la nostra musica di riferimento l’ha fatta con l’originale!
Quali aspettative avete, come gruppo, per la serata del 6 maggio?
Ci aspettiamo che non sia il numero a riempire la sala, ma il silenzio e l’unione delle anime presenti. Fa molto più rumore, fa molto più stile.
Rocco Della Corte