Cultura

Prostituzione e politiche pubbliche, un matrimonio possibile

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prostituzione

Sporcizia, degrado, assenza di servizi: ben nota è la situazione in cui periferie e provincia di Roma versano da decenni. Se negli ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole e lodevole incremento delle azioni volte alla sensibilizzazione dei cittadini riguardo a tematiche spinose come la criminalità organizzata giovanile e l’utilizzo di droghe nei minori, ben poco è stato fatto nei confronti di una piaga sociale che attanaglia ed abbruttisce (ancor più) le zone ai margini della bella Capitale: la prostituzione.

La soluzione al problema pare essere decisamente lontana e di difficile attuazione: così spesso si è assistito alle ripetute ed infruttuose azioni di Polizia di Stato e Carabinieri che al cittadino non resta altro da fare se non chiudere più d’un occhio sul degrado scaturito dalle indegne condizioni in cui queste giovani donne son costrette a vivere. Tor Bella Monaca, San Vittorino, Ponte di Nona, Nettuno, Palestrina, Carchitti: solo per citare alcune delle tante zone in cui viene praticato il meretricio. 

Se da una parte si solleva il coro del pugno duro, dall’altra quello delle “case chiuse” e dall’altra ancora quello del prendere ad esempio tale o talaltro paese, vien da chiedersi come fu gestita, in epoca passata, il problema prostituzione. A tal proposito può giungerci in aiuto il compianto Costantino Maes che, nel suo Curiosità romane, effettua una dettagliata analisi del problema nella Roma papalina.

Le prostitute erano dette, dalle autorità ecclesiastiche dell’epoca, Donne Curiali in quanto dipendenti dirette del tribunale del cardinal Vicario o della Curia stessa, i quali per controllare, censire e limitare tale professione rilasciavano vere e proprie licenze per l’esercizio della prostituzione. La concessione di tale licenza, oltre a regolamentare e normare il turpe mestiere, sanciva ferree e rigide regole tra cui spiccava l’assegnazione a quartieri e contrade in cui poter esercitare.

Questo aspetto poco conosciuto della vita papalina, soprattutto in anni d’inquisizione, è da ricondurre ad una pragmatica presa di coscienza da parte della curia romana la quale, conscia dell’impossibilità di contrastare ed eradicare in alcun modo un mestiere simile, s’apprestò quanto prima a trovare il minore dei mali: la legalizzazione. Ovviamente se da una parte le gerarchie ecclesiastiche dovevano chiudere più di un occhio su d’un mestiere tanto immorale, dall’altra potevano far conto su di un immediato beneficio: il levar balzello, altrimenti noto come tassazione.

È innegabile come tale balzello su prestazioni e licenze finisse presto per assurgere a primaria fonte di rifocillamento economico per le onnivore casse vaticane; grazie al costante flusso monetario prodotto da tale tassazione si poterono, infatti, stabilire e realizzare numerosissime opere pubbliche. Giunti a tal punto è impensabile non citare il buon Pio IV il quale restaurò, grazie all’imposta sulla prostituzione, il Ponte Rotto e fabbricò cum impensis ex turpi questu acquisiti ET ACQUIRENDIS lo splendido Borgo Pio, tutt’oggi fiore all’occhiello del turismo internazionale. Altra mirabile opera pubblica realizzata con il sozzo cespite fu l’avveniristica realizzazione di via di Ripetta la quale, lastricata e nobilitata da zona maleodorante e mal frequentata ad arteria primaria del commercio romano, ebbe come prima denominazione quella di Via Leonina per il semplice zampino del lungimirante Leone X. Come fu possibile realizzare tale opera? Ovviamente con la tassa sui lupanari.

Volersi sostituire alle istituzioni nella lotta al degrado e alla criminalità sarebbe stupido ed improduttivo ma, per il bene delle donne costrette alla prostituzione e per il benessere del cittadino (soprattutto in prolungati periodi di ristrettezze economiche da parte dei comuni), prendere ad esempio la politica vaticana passata potrebbe essere un ottimo ed eccellente punto di partenza. Legalizzare, controllare e tassare sono necessari punti di passaggio nella lotta allo sfruttamento, alle mafie e, perché no, alla proliferazione di enclave di diffusa illegalità.