Al riguardo de l’articolo “Il cromo esavalente è ancora lì sotto” (per leggere basta cliccare sul link), pubblicato dalla nostra testata giornalistica in data 22 febbraio 2018 e inerente appunto la gestione della presenza di cromo esavalente nella falda superficiale sulla quale insistono i termovalorizzatori di Colleferro, è arrivata la replica della società Lazio Ambiente, che ha voluto fornire una spiegazione su notizie che: “Se non si fosse certi della buona fede delle persone, potrebbero essere scambiate per manipolazioni dei fatti e dei documenti, effettuate da una parte con il duplice fine di denigrare l’Azienda che gestisce i termovalorizzatori e dall’altra di creare allarmismi alla base di interventi “eroici” proprio in concomitanza delle elezioni politiche nazionali e regionali di marzo 2018”.
Un condizionale che, ovviamente, non possiamo far altro che respingere con fermezza, ribadendo la totale libertà politica che ha sempre caratterizzato il quotidiano e l’assoluta fondatezza dei dati che ci hanno spinto a redigere l’articolo. Il diritto di replica, ad ogni modo, è sacrosanto e – proprio per questa ragione – ospitiamo con piacere il comunicato di Lazio Ambiente che fornisce la sua versione dei fatti sulla questione.
“Con lo scopo di chiarire le suddette imprecisioni e completare le informazioni parzialmente omesse, l’Azienda ha dunque ritenuto opportuno redigere il presente comunicato stampa.
Una prima precisazione riguarda la natura della falda interessata dalla presenza di cromo esavalente.
Indagini geologiche effettuate prima della realizzazione degli impianti e ripetute proprio a seguito della rilevazione del cromo esavalente, hanno attestato la natura “effimera” della falda, cioè la mancanza di collegamenti diretti con la falda profonda. Si tratta dunque di una “lente” di modeste dimensioni ricaricata solamente dalle precipitazioni atmosferiche (che dunque, non “scorre sotto gli inceneritori”). Quanto sopra premesso, nel seguito le osservazioni e le precisazioni sono riportate con riferimento alla struttura del suddetto articolo.
I primi rilevamenti dell’ARPA e le nuove analisi
Il superamento dei “limiti di legge” rilevato da ARPA è in realtà da contestualizzare al superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC), peraltro per tre volte il valore della soglia (e non cinque come riportato), il quale innesca il meccanismo dell’approfondimento, avvenuto effettivamente nel periodo seguente, mediante determinazioni mensili (nessun “ordine” ma l’applicazione di una prassi prevista per legge).
Il superamento suddetto è stato rilevato in uno dei quattro piezometri all’epoca presenti e previsti nell’ambito del monitoraggio in atto e sotto la gestione dell’Ufficio Commissariale per l’emergenza nella Valle del Sacco.
Nei mesi successivi, fino all’avvio del procedimento amministrativo, i livelli “elevati e sopra i limiti di legge” sono stati rilevati nello stesso piezometro e non negli altri.
Il “piano di messa in sicurezza” non è scattato a seguito della conferenza di servizi del maggio 2016, ma messo in atto dall’azienda in termini preventivi già dal mese precedente a seguito delle conferme di cui sopra, nel rispetto dei termini di legge (Messa in sicurezza di emergenza – MISE).
Nel corso della conferenza di servizi del maggio 2016 invece, è stato approvato con integrazioni, il Piano di Caratterizzazione (PdC) proposto dall’Azienda, che prevedeva appunto la realizzazione di quindici nuovi piezometri, da ubicare nell’area degli stabilimenti e all’esterno della stessa.
A tale riguardo è opportuno specificare che l’approvazione dello stesso Piano di Caratterizzazione sarebbe dovuta essere formalizzata da un atto amministrativo (una autorizzazione vera e propria) da parte del Comune di Colleferro, atto mai emesso. Il Comune ha infatti poi confermato, nell’ambito del tavolo tecnico del 2018 presso il ministero dell’ambiente, di cui si argomenterà nel seguito, di non essere a conoscenza di tale necessità, ritenendo che il verbale della conferenza di servizi costituisse esso stesso l’autorizzazione di cui sopra.
L’Azienda dalla sua parte, non essendo mai stata coinvolta in procedure di bonifica, non ha avuto nulla da obiettare e si è adoperata da subito per la messa in atto dei contenuti del PdC, realizzando i nuovi piezometri, isolando le potenziali fonti di contaminazione individuate all’interno degli stabilimenti e procedendo con le attività finalizzate alla esecuzione dell’Analisi di Rischio, da presentare entro 180 giorni dalla approvazione del PdC.
Con particolare riferimento alle attività di campionamento e analisi finalizzati alla redazione dell’Analisi di Rischio, l’Azienda ha comunicato ad ARPA Lazio le date di inizio delle attività e, nel corso dello svolgimento delle stesse, contattato ARPA per richiederne l’intervento prima che le attività terminassero, al fine di permettere alla stessa Agenzia il prelievo del 10% dei campioni ritenuti dalla stessa necessari per la validazione dei dati rilevati dal laboratorio.
A tale riguardo preme specificare che ARPA non doveva “certificare” i dati rilevati dal laboratorio, ma validare gli stessi, in termini di conformità della procedura analitica attuata, dal campionamento all’analisi. Relativamente a questo aspetto si evidenzia che il laboratorio che esegue le misurazioni, è accreditato ACCREDIA (l’Ente nazionale che certifica la correttezza di esecuzione delle metodiche analitiche da parte di un laboratorio di prova) per l’esecuzione delle stesse.
Inoltre, i campioni prelevati sono stati confezionati “in doppio” (uno per le analisi da parte dell’Azienda e uno per “archivio a disposizione dell’ente di controllo”), come previsto per legge, non potendo procedere al confezionamento della “eventuale terza aliquota”, da effettuarsi in “contraddittorio” dunque alla presenza di ARPA stessa.
Né contestualmente alle attività, né in seguito, i campioni “per archivio” sono stati richiesti. Nel seguito, i risultati delle campagne di monitoraggio mensili sono stati regolarmente trasmessi ad ARPA e a tutti gli altri enti preposti. Entro il termine di sei mesi dalla approvazione del PdC e a seguito delle risultanze della fase analitica dello stesso è stata prodotta e trasmessa al Comune di Colleferro l’Analisi di Rischio, in particolare in data 25 novembre 2016.
Come previsto dalla legge il Comune di Colleferro avrebbe dovuto approvare l’Analisi di rischio entro i successivi 60 giorni.
Scaduto tale termine invece, in data 8 febbraio 2017, il Comune di Colleferro trasmetteva una nota nella quale rimetteva, a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 22 novembre 2016 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 16 dicembre 2016, si noti il tempismo) le competenze in merito alla gestione del procedimento, al ministero dell’ambiente. Tale D.M. ricomprendeva l’area occupata dagli impianti nel Sito di Interesse Nazionale Bacino del Fiume Sacco, di competenza appunto del citato dicastero.
A tale scopo, nella stessa nota il Comune convocava un tavolo tecnico (non più CdS, n.d.r.) in considerazione “della necessità di approvare il documento di analisi di rischio presentato dalle Società…”, ad ulteriore dimostrazione del fatto che tale ente riteneva corretta l’approvazione del PdC presentato e messo in atto.
Nel corso del tavolo tecnico di cui sopra, non potendo procedere ad alcun passaggio di consegne, essendo presenti solo l’Azienda ed il Comune di Colleferro, lo stesso si è impegnato a trasmettere tutta la documentazione agli atti, al ministero dell’ambiente, al fine di trasferire il procedimento.
Nei mesi successivi a seguito della richiesta da parte dell’Azienda di notizie in merito alla suddetta trasmissione, il comune di Colleferro richiedeva di produrre una copia di tutta la documentazione per poter procedere al trasferimento (documentazione che sarebbe dovuta essere agli atti del Comune già alla data del 22 febbraio). Tale copia è stata inviata al Comune di Colleferro in data 9 maggio 2017 e ritrasmessa dallo stesso al ministero dell’ambiente in data 7 giugno 2017.
Il ministero dell’ambiente dal canto suo, in data 15 dicembre 2017 richiedeva all’Azienda di “relazionare in merito allo stato di attuazione del procedimento avviato…”, sebbene avesse ricevuto tutta la documentazione sei mesi prima.
In risposta a tale richiesta l’Azienda faceva presente l’avvenuta trasmissione, richiedendo la convocazione di un tavolo tecnico al fine di proseguire con il procedimento.
Il tavolo tecnico è quello del 23 gennaio scorso, nel quale è stata evidenziata la mancanza dell’approvazione formale da parte del comune di Colleferro. Nella stessa sede è stata fatta lettura di una nota ARPA che, oltre a comunicare la propria impossibilità a presenziare, ribadiva che dal proprio canto, già nel giugno del 2016 aveva espresso parere positivo alla approvazione del PdC e che al fine di procedere alla validazione delle misurazioni, era in attesa di ricevere l’atto formale prodotto dal comune di Colleferro. Come se dal giugno del 2016 ARPA non avesse più ricevuto comunicazioni in merito!
Nel corso dello stesso incontro si è valutato di procedere alla validazione della fase analitica prelevando campioni in contraddittorio sia per quanto riguarda le acque che i terreni. In merito alla prima attività la stessa è stata eseguita in data 5 febbraio 2018, in merito alla seconda l’Azienda è in attesa di ricevere indicazioni da ARPA.
Nessuno, nel corso del tavolo tecnico del 23 gennaio, ha riportato di considerare le “analisi interne, effettuate finora dall’Azienda”, come “indagine preliminare”.
Dunque da parte dell’Azienda non vi è stato alcuno “stallo nei lavori di bonifica e di individuazione della fonte di inquinamento”.
La fonte della contaminazione
Individuare le modalità per riportare un fatto, in modo che possa essere interpretato secondo i propri intenti, è un’arte. I tecnici e i dirigenti di Lazio Ambiente, a differenza di quanto riportato, hanno fornito una risposta chiara e soprattutto tempestiva riguardo le sorgenti di contaminazione (si veda il verbale della CdS del maggio 2016).
Ancora, non è vero che secondo loro “la possibile fonte è da ricercare nell’attività degli impianti”, ma è sicuramente vero che gli stessi hanno riportato (si veda ancora il citato verbale), che ai fini della tutela delle persone e dell’ambiente, pur non essendo affatto certi che la fonte di contaminazione sia da ascrivere all’attività degli impianti, si è ricercato all’interno degli stessi se vi potessero essere attività o pratiche alle quali ricondurre la presenza di cromo esavalente. Tale ricerca ha portato ad evidenziare la presenza residuale di cromo esavalente nelle scorie di combustione e più in particolare nelle acque di drenaggio di queste, afferenti alla rete di raccolta delle acque industriali dell’impianto. Proprio a seguito di questo si è proceduto alla impermeabilizzazione della rete in tutte le sue parti (attività certificata dagli esecutori ed eseguita nei mesi di agosto e settembre 2016).
La persistenza del cromo esavalente è oggetto di attenzione, proprio per le motivazioni espresse nell’articolo (impianti fermi da poco più di un anno e non “da quasi due anni”), nonché per il fatto che la stessa possa essere collegata ad attività che non riguardano gli impianti. A tale scopo l’Azienda ha richiesto nel corso del tavolo tecnico presso il ministero, di ampliare la zona di indagine.
Una galleria contaminata
A differenza di quanto asserito (anche in questo caso collegare la galleria al lindano, che con la stessa e con gli stabilimenti soprastanti non ha nulla a che fare, è una operazione “artistica”), le indagini geologiche espletate mostrano come la galleria costituisca il fondo della falda soprastante. Per questa ragione l’interno della galleria stessa è stato impermeabilizzato (tratto interessato circa 100 metri, su una lunghezza totale della galleria di circa 500 metri) e le acque di drenaggio sono regolarmente raccolte ed inviate, insieme a quelle pompate da altri piezometri, ad un impianto di trattamento che l’Azienda ha acquistato allo scopo e messo in funzione a partire dal mese di giugno 2017.
Dunque nessuna “complicazione” della zona, ma al contrario una opportunità che favorisce la raccolta delle acque da bonificare evitandone l’ulteriore diffusione.
La denuncia del Sindaco
Solo oggi l’azienda viene a conoscenza della denuncia sporta dal Sindaco di Colleferro nel mese di giugno 2016.
Nel constatare la solerte volontà dello stesso di “sveltire” le pratiche dal punto di vista della giustizia (si specifica che essendo in atto un procedimento ex.Art.242 del testo unico ambientale, la ricerca di eventuali responsabilità civili e/o penali è parte dello stesso procedimento, e dunque rende superflua l’azione messa in atto, lasciando adito a pensare che lo scopo della stessa fosse più “propagandistico”), non si può non osservare come poi nei termini pratici, il comune di Colleferro abbia manifestato da una parte l’incapacità a gestire il procedimento (con riferimento alla mancata formalizzazione dell’approvazione del PdC) e dall’altra un immobilismo che certo non è compatibile con la necessità di gestire in tempi ristretti la situazione (con riferimento ai descritti “ritardi” nel portare avanti l’iter procedurale).
Il movimento Rifiutiamoli: “Il cromo esavalente è un motivo in più per smantellarli”
Leggendo tra le righe di quanto riportato sembrerebbe che l’Azienda operi in una sorta di “sottobosco” nella speranza che le informazioni e i dati relativi al procedimento non vengano divulgati, tanto che allo scopo ha “contribuito” il movimento Rifiutiamoli.
A tale riguardo si specifica che tutti i dati e le informazioni relativi al procedimento sono, oltre che trasmessi regolarmente a tutti gli enti interessati e dunque oggetto di accesso formale agli atti, disponibili presso l’Azienda per coloro che ne facessero richiesta.
A conclusione di quanto sopra argomentato, in risposta all’articolo del 22 febbraio scorso, l’Azienda specifica che da parte della stessa:
- Sono state rispettate tutte le tempistiche di legge;
- Sono state messe in atto tutte le azioni nelle proprie facoltà (ed anche oltre), finalizzate al contenimento ed alla eliminazione della presenza del cromo esavalente nella falda superficiale sottostante gli impianti (impermeabilizzazioni, raccolta e trattamento delle acque emunte, monitoraggio mensile della qualità delle acque di falda e verifica della efficacia del trattamento messo in atto, monitoraggio mensile della falda profonda);
- L’analisi di rischio presentata nel mese di novembre 2016 ha evidenziato l’assenza di rischio sanitario per la popolazione.
In ultimo, la speranza dell’Azienda è quella che in futuro, chiunque abbia la necessità o la volontà di manifestare la propria legittima disapprovazione dell’esistenza dei termovalorizzatori di Colleferro, lo faccia nel rispetto della legge, della verità e delle persone coinvolte direttamente o indirettamente nella vicenda, ivi compresi i fruitori dell’informazione che non essendo “addetti ai lavori” non meritano di essere manipolati con mezze verità o allarmismi fuori luogo.
LAZIO AMBIENTE SPA EP SISTEMI SPA
L’Amministratore Unico L’Amministratore Unico
(dott. Gregorio Narda) (dott. Libero Massimo Candreva)