Dalle prime ore di questa mattina è in corso un’operazione di polizia giudiziaria nel quartiere Vescovio di Roma. Agenti della Squadra Mobile e del Commissariato Vescovio stanno dando esecuzione a 4 provvedimenti restrittivi della libertà personale emessi dal GIP di Roma su richiesta della locale Procura della Repubblica ed a 6 avvisi di conclusione indagini emessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.
Individuati tutti e 10 i componenti della banda giovanile che, per mesi, ha terrorizzato i ragazzi residenti; rapine e lesioni i reati contestati.
Personale della IV Sezione della Squadra Mobile e del Commissariato Vescovio, dopo una lunga e complessa indagine, ha individuato una “gang” composta da maggiorenni e minorenni che, negli ultimi mesi, si è resa responsabile di aggressioni e rapine nei confronti di loro coetanei, nei quartieri Vescovio, Africano e Coppedè, seminando nell’arco di qualche mese il terrore nei residenti.
Alle prime ore di questa mattina agenti della Squadra Mobile e del Commissariato Vescovio, hanno dato esecuzione a un provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta dei magistrati del gruppo rapine della locale Procura della Repubblica a carico di:
H.A., custodia cautelare in carcere;
B.A., custodia cautelare agli arresti domiciliari;
R.E., custodia cautelare agli arresti domiciliari;
L.O.C.R., custodia cautelare agli arresti domiciliari
è stata inoltre notificato l’avviso di conclusione indagini preliminari e l’avviso di garanzia emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni a carico di altri sei soggetti, tutti minorenni.
L’indagine, che ha consentito di individuare tutti e 10 i componenti della GANG è partita grazie alle denunce di ragazzini che, accompagnati dai genitori, sono riusciti a raccontare i soprusi subiti; si è accertato che il gruppo operava nella zona quasi esclusivamente per il gusto di predominare sugli altri, per segnare il territorio e rapinare “paghette settimanali”, oggetti di valore e capi di abbigliamento firmati, che non esitava a esibire sui social come trofei per l’impresa compiuta.
Le vittime, vessate in continuazione, per paura di incontrare nuovamente i componenti della gang, limitavano le loro uscite o comunque cambiavano le loro abitudini, fino ad arrivare al punto di non indossare un capo di abbigliamento costoso, avendo il terrore di essere rapinati.
Gli investigatori, con pazienza e tenacia, analizzando gli episodi denunciati, le caratteristiche fisiche degli aggressori, il modus operandi e analizzando i social network, hanno individuato tutti i componenti del gruppo.
La modalità d’azione di quella che può essere considerata una vera e propria “gang” si manifestava con la commissione di attività delittuose caratterizzate da metodi violenti, reiterati nel tempo e con modus operandi univoco e costante, condiviso da tutti gli appartenenti al gruppo.
L’azione di due o più componenti la gang era condivisa con gli altri sui social per affermare il messaggio che nessuno poteva invadere il loro territorio e anche per spaventare le stesse vittime, spesso conoscenti o addirittura amici sui profili facebook, che potevano così verificare direttamente la esternazione del potere e della prepotenza della gang.
Potere e prepotenza del gruppo erano riscontrabili all’interno del quartiere attraverso le dichiarazioni delle stesse vittime che addirittura, riconoscendo i loro componenti e sapendo della loro “notorietà criminale”, non reagivano o comunque, incontrandoli, “speravano” di non essere coinvolti nelle loro azioni criminose, memori delle loro gesta criminali, ormai di dominio pubblico nella zona.
Quando incontravano nei quartieri vittime a loro sconosciute chiedevano, prima di colpire, la loro zona di provenienza, e accertata la loro “estraneità” al territorio, li rapinavano, come se dovessero pagare “dazio” per essere entrati nel loro “spazio”.
Rapinare le giovani vittime di 5, 40 o 90 euro, non costituiva un mezzo di “sostentamento” seppur illecito, ma solo una conseguenza della rapina stessa, posta in essere principalmente per il gusto di farla, come atto di dimostrazione di forza o per “spaventare” le vittime, come fine ultimo proprio quello di crearsi una “fama” e/o una reputazione nel quartiere, come duri e violenti.
Anche se spesso si giustificavano con le loro vittime che il denaro rapinato serviva per acquistare sostanza stupefacente o per “fare benzina”, appare evidente che l’esiguità delle somme rappresentava una conseguenza e non la causa del reato.
I “trofei” rapinati rappresentavano simboli di un agiato status sociale: sono stati trafugati capi di abbigliamento e accessori di marca, tenuti e scambiati tra i componenti ed esibiti nei social per rimarcare la loro prepotenza e onnipotenza, come nelle migliori fiction televisive.
Molti profili facebook sono caratterizzati da frasi o video in cui prevale la violenza o l’appartenenza ad un gruppo come modo di vita, alla pari delle serie televisive come “Gomorra”, ove il valore principe è il gruppo e i “fratelli” da tutelare e se necessario vendicare.
Gli investigatori, al lavoro da mesi sul fenomeno, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Roma e dalla Procura per i Minorenni, hanno identificato e monitorato i soggetti, studiando le loro abitudini e i luoghi frequentati, raccogliendo elementi utili alla loro incriminazione, attribuendo specifiche responsabilità nei singoli episodi.
(IMMAGINE DI REPERTORIO)