Per l’Italia tragico record europeo per decessi da epatite virale. Lo certificano i dati Eurostat relativi al 2015. Nell’anno di riferimento si sono registrati nella penisola 40 decessi dovuti al virus per milione di abitanti.
La media comunitaria è 14. Ma se si considerano le morti dovute agli effetti collaterali del virus, e non all’epatite in sé, il numero dei decessi in Italia sale a 2.900. Dei 5,2 milioni di decessi registrati nell’Unione europea nel 2015, 7.300 erano dovuti all’epatite virale. Gli uomini (3.900 morti) e le donne (3.400 decessi) sono stati colpiti in modo quasi uguale. Questi valori sono rimasti approssimativamente stabili da quando sono iniziati i report dell’Ue nel 2011. Quasi due terzi di questi decessi riguardavano persone di età superiore a 65 anni. Anche in termini assoluti l’Italia (2 900 morti, pari a circa il 40% del totale dell’Ue, in aumento di 65 decessi rispetto al 2014) ha registrato il più alto numero di decessi per epatite nel 2015, seguita da Germania (960), Spagna (900) e Francia (600).
Tuttavia, per un confronto tra paesi rilevanti, questi numeri assoluti devono essere adattati alle dimensioni e alla struttura della popolazione. Dopo i 40 morti per milione di abitanti dell’Italia il tasso più alto è quello dell’Austria (31 morti per milione di abitanti). Poi Lettonia (26), Ungheria (21) e Spagna (19). All’estremo opposto della scala, Malta ha registrato zero casi di epatite nel 2015. I tassi più bassi sono stati registrati in Slovenia e Finlandia (entrambi con 1 decesso per milione di abitanti), Bulgaria e Danimarca (3 ciascuno) e nei Paesi Bassi e Repubblica Ceca (4 ciascuno). A livello Ue, il tasso di mortalità per epatite si è attestato in media a 14 decessi per epatite virale per milione di abitanti nel 2015.
Una vera e propria emergenza, a giudicare dai numeri, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”. Vuol dire, che in Europa 4 morti su 10 avvengono in Italia. Le cause? Colpa di scarsa conoscenza di malattia e rischi collegati? Un problema del ministero della Sanità? O difficoltà all’accesso alle cure medico-sanitarie? Domande a questo punto più che mai legittime e necessarie.