Un focolaio epidemico di infezione-colonizzazione da Serratia marcescens si è sviluppato presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell’ASST Spedali Civili di Brescia. La sorgente è caratterizzata da tre casi di sepsi neonatale, un’infezione delle vie urinarie e sei casi di colonizzazione, ovvero in tutto dieci casi. Lo rende noto la direzione degli Spedali civili di Brescia dove un neonato il 6 agosto è morto a causa di un’infezione dal batterio Serratiamarcescens, dopo un decorso particolarmente infausto dell’infezione. Nel reparto si è sviluppato, infatti, un focolaio epidemico di Serratia marcescens identificato il 20 luglio scorso.
“Attualmente, dei dieci neonati positivi per Serratia, 6 sono ancora degenti. E dei restanti 27 degenti risultati negativi allo screening 10 sono stati dimessi e 17 sono ancora ricoverati”. In due neonati, con isolamento del germe da emocolture (del 18 e 19 luglio) ed a un terzo neonato sono stati riscontrati segni clinici di congiuntivite, con isolamento del microrganismo da tampone oculare (effettuato il 19 luglio). I primi due casi diagnosticati sono andati progressivamente migliorando ed attualmente sono in via di risoluzione, purtroppo il terzo paziente ha sviluppato segni clinici da shock settico ed un quadro clinico che è progressivamente peggiorato e, nonostante la terapia antibiotica a largo spettro e tutte le cure intensive prestate ha cessato di vivere».
Sono stati poi altri i casi diagnosticati: «Attualmente – scrive il Civile – dei dieci neonati positivi per Serratia sei sono ancora degenti. E dei restanti 27 degenti risultati negativi allo screening 10 sono stati dimessi e 17 sono ancora ricoverati». Adesso i familiari intendono fare chiarezza su quanto accaduto. Sarà la Magistratura a dare tutte le risposte. Le cronache e non solo da tempo riportano casi di morti sospette di cui i responsabili spesso sono le “Infezioni Ospedaliere”; ma cosa sta succedendo negli ospedali Italiani, dove il meccanismo si è inceppato facendoci ripiombare nel medioevo sanitario? Se in merito a protocolli standardizzati e misure di prevenzione abbiamo fatto passi da gigante, qualcosa nella catena non funziona. L’unica pratica che dovrebbe essere messa in pratica negli ospedali per poter arginare il problema, ovvero quello di isolare in apposite stanze i pazienti con un’equipe di infermieri dedicati che non trattino altri pazienti, in modo da non tramettere a questi ultimi i ceppi resistenti, oggi non è prevista se non i rarissimi casi. Mancano le stanze per gli isolamenti, manca il personale sanitario, mancano gli infermieri.
L’esempio di come poco ci voglia per tenere sotto controllo l’epidemia da Klebsiella resistente ai carbapenemici arriva da Israele che ha provveduto con un isolamento a coorte ed uno staff dedicato. Il nostro governo risparmia, ma al solito risparmia laddove dovrebbe investire, in strutture e risorse umane, e questo modus facendi è la causa principale dell’aumento delle “morti sospette”. Quanto ci costerà ancora questo modo di fare, specie in vite umane? E’ arrivato il momento di invertire la rotta ed investire in maniera corretta nella nostra sanità, perché rischiamo di fare un grande passo indietro e di vanificare tutti i progressi fatti fino a qui che ci hanno permesso di sconfiggere le malattie infettive.