RAPPORTO “IL MERCATO DEL LAVORO 2018. VERSO UNA LETTURA INTEGRATA”
Questo Rapporto annuale è frutto della collaborazione sviluppata nell’ambito dell’Accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e la dinamica del mercato del lavoro in Italia. L’obiettivo è valorizzare la ricchezza delle diverse fonti sull’occupazione – amministrative e statistiche – per rispondere alla crescente domanda di una lettura integrata dei dati sul mercato del lavoro e fornire una base empirica e analitica utile a favorire lo sviluppo del dibattito pubblico su questo tema.
L’Accordo, in scadenza a dicembre 2018, è stato prorogato fino a dicembre 2021 per proseguire la collaborazione e completare il percorso avviato e in virtù della proficua cooperazione inter-istituzionale sviluppata nell’arco di un triennio.
Oltre al Rapporto e alla Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione, ormai a regime da due anni, l’Accordo prevede lo sviluppo, tuttora in corso, di un Sistema informativo statistico sul lavoro accessibile a tutte le istituzioni e al mondo della ricerca, che sarà collocato presso l’Istituto nazionale di statistica.
Gli approfondimenti presentati nel volume che presentiamo oggi affrontano più tematiche intrecciando gli aspetti congiunturali e ciclici con l’evoluzione del quadro strutturale, segnato dall’uscita da una recessione profonda e persistente che ha modificato significativamente la struttura produttiva italiana, le caratteristiche dell’occupazione e i comportamenti individuali.
Le diverse analisi descrivono un quadro che esprime un elevato potenziale di sviluppo del mercato del lavoro, insieme a criticità che la ripresa economica degli ultimi anni ha solo in parte attenuato. Da un lato emergono evidenze di un miglioramento, in cui fattori di fondo – demografici e sociali, di selezione interna e risposte ai mutamenti tecnologici delle imprese – e di più breve periodo hanno contribuito a una prolungata ripresa; dall’altro permane un’ampia area d’inoccupazione e sottoccupazione, di disallineamenti formativi e di basso livello delle qualifiche, che si intrecciano con l’acuirsi degli squilibri territoriali.
Il Rapporto in sintesi
Capitolo 1. Il mercato del lavoro: un bilancio degli ultimi dieci anni
- Nell’area dell’euro, coerentemente con il rallentamento della crescita del Pil, prosegue a ritmi meno sostenuti l’aumento congiunturale dell’occupazione (+0,3% nel terzo trimestre 2018), che raggiunge il massimo storico in valore assoluto. Continua anche la diminuzione del tasso di disoccupazione, all’8,1% nel terzo trimestre 2018.
- In Italia, il mercato del lavoro mostra una sostanziale tenuta, a fronte di segnali di flessione dei livelli di attività economica. Dopo il rilevante incremento nel 2017, l’occupazione ha continuato a crescere raggiungendo nel secondo trimestre 2018 il massimo storico di 23,3 milioni di unità. Dopo una lieve diminuzione nel terzo trimestre 2018, in base alle stime preliminari, aumenta lievemente nel quarto (+0,1% rispetto al precedente trimestre).
- Nella media del 2018 il numero di occupati supera il livello del 2008 di circa 125 mila unità e il tasso di occupazione sfiora il record di 58,5%. Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,6% (-0,6 punti in un anno e +3,9 punti rispetto al 2008).
- La ripresa dei livelli di input di lavoro, a ritmi meno intensi, prosegue con una crescita occupazionale “a bassa intensità lavorativa”: se il numero di persone occupate recupera il livello del 2008, la quantità di lavoro utilizzato è ancora inferiore. Nella media dei primi tre trimestri del 2018 rispetto ai corrispondenti del 2008, il Pil è del 3,8% al di sotto del livello pre-crisi e le ore lavorate del 5,1%. Per colmare il gap mancano ancora poco meno di 1,8 milioni di ore e oltre un milione di Unità di lavoro a tempo pieno (Ula).
- I lavoratori dipendenti raggiungono il massimo storico, sfiorando i 18 milioni, nel secondo trimestre 2018 e gli indipendenti il minimo nel primo trimestre 2018 con meno di 5,3 milioni di occupati. Nella stima preliminare del quarto trimestre 2018 torna a crescere lievemente l’occupazione permanente (+0,1%), dopo la caduta del terzo; il tempo determinato (+0,1%) tocca il valore massimo di oltre 3,1 milioni di occupati.
- Il decennio ha visto una profonda trasformazione del tessuto produttivo che ha comportato una ricomposizione dell’occupazione verso il lavoro dipendente, con una crescita dei rapporti a tempo determinato (+735 mila) e una notevole espansione degli impieghi a tempo parziale (spesso involontari). Questi trend sono connessi allo sviluppo di molte attività nel terziario e di professioni a bassa qualifica. Nei dieci anni è aumentata la presenza femminile, dei lavoratori “anziani”, di quelli più istruiti, e degli stranieri (soprattutto nei settori alberghi e ristorazione, agricoltura e servizi alle famiglie). Si è inoltre accentuato il dualismo territoriale a sfavore del Mezzogiorno (-262 mila occupati a fronte di +376 mila nel Centro-Nord).
- Nonostante la crescita dell’occupazione negli ultimi anni, rimane ampia la distanza dell’Italia dall’Ue15: per raggiungere il tasso di occupazione della media Ue15 (nel 2017 pari a 67,9%, contro il 58,0% di quello italiano) il nostro paese dovrebbe avere circa 3,8 milioni di occupati in più. Il gap occupazionale italiano riguarda soprattutto i lavori qualificati e i settori sanità, istruzione e pubblica amministrazione.
Occupati per professione. Anni 2008-2018 (media primi tre trimestri) (variazioni assolute con base=2008) | Occupati per regime orario. Anni 2008-2018 (media primi tre trimestri) (variazioni assolute con base=2008) |
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro
Capitolo 2. Il sottoutilizzo della forza lavoro in Italia
- Nel 2017, il tasso di attività della popolazione tra 15 e 74 anni in Italia è pari al 57,1%. Il gap di 7,5 punti con la media Ue è dovuto soprattutto alle forti differenze di genere e territoriali presenti nel nostro paese. Includendo anche quella parte di inattivi interessati a lavorare (le forze lavoro potenziali), in un ipotetico “tasso di attività allargato”, la partecipazione salirebbe al 64% in Italia e al 67,4% in Europa, ridimensionando il divario soprattutto per gli uomini.
- Con un tasso di disoccupazione all’11,7% nel 2017, l’Italia si colloca al terz’ultimo posto nella graduatoria Ue28 (7,6% la media europea). Se si considera il tasso di mancata partecipazione, che oltre ai disoccupati tiene conto delle forze lavoro potenziali disponibili a lavorare, il divario dalla media europea sfiora i dieci punti. Nel complesso, nel 2017 la forza lavoro non utilizzata potenzialmente impiegabile nel sistema produttivo ammonta a circa sei milioni di individui (2,9 milioni disoccupati e 3,1 milioni forze di lavoro potenziali).
- Nel 2017, hanno lavorato meno ore di quelle che sarebbero stati disponibili a lavorare circa 1 milione di occupati (4,4% del totale). In media un sottoccupato sarebbe stato disponibile a lavorare circa 19 ore in più a settimana. Complessivamente in termini di Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno ciò corrisponde a 473 mila occupati a tempo pieno. Il tasso di sottoccupazione è più elevato nel Mezzogiorno, tra le donne, tra i giovani e, soprattutto, tra gli stranieri.
- Gli occupati sovraistruiti sono 5 milioni 569 mila, il 24,2% del totale e il 35,0% degli occupati diplomati e laureati. Negli anni il fenomeno è in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute.
- In entrambi i casi di sottoutilizzo – sottoccupazione e sovraistruzione – l’incidenza è maggiore tra i dipendenti a termine, tra gli occupati a tempo parziale e nei settori degli alberghi e ristorazione e dei servizi alle famiglie. Gli stranieri sono gli occupati più convolti in queste due forme di inadeguatezza dell’impiego svolto.
- Un investimento in istruzione che non trova adeguato sbocco lavorativo può comportare la decisione di migrare all’estero. Tra i dottori di ricerca del 2014 occupati, il 18,8% vive e lavora all’estero a quattro anni dal conseguimento del titolo; per essi si riscontra una maggiore conformità tra la professione svolta e gli studi dottorali, e più soddisfazione per il lavoro. In particolare, tra i dottori che lavorano all’estero è più elevata la quota di professori o ricercatori presso le Università e di ricercatori presso enti pubblici di ricerca (rispettivamente il 13% e il 7,4% contro il 4,3% e il 2,4% in Italia).
Tasso di attività e tasso di attività “allargato” in Ue e Italia per genere. Anno 2017 (valori percentuali) | Tasso di sottoccupazione per caratteristiche socio-demografiche. Anno 2017 (valori percentuali) |
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro
Capitolo 3. Domanda di lavoro delle imprese e disallineamento formativo
- Le imprese con almeno 10 dipendenti, circa 11 milioni di addetti, nei primi tre trimestri del 2018 si caratterizzano per una crescita dell’input di lavoro dipendente comparabile a quella del biennio precedente seppure in un lieve rallentamento tendenziale (+4,1% nel primo trimestre, +3,4% nel secondo e +3,2% nel terzo). L’aumento complessivo del monte ore lavorate è scaturito dalla creazione netta di posti di lavoro mentre il numero di ore lavorate per dipendente è rimasto sostanzialmente invariato.
- La crescita delle posizioni lavorative ha riguardato tutti i principali macrosettori. Nel 2018 la manifattura presenta i valori tendenziali più elevati dall’inizio della ripresa (+2,3% nel primo trimestre, +2,7% nel secondo, +3,1% nel terzo); nelle costruzioni gli aumenti dei posti di lavoro sono tuttora più bassi che nel resto dell’economia (+2,6% nel terzo trimestre 2018). Riguardo alle attività del terziario, nei servizi di mercato l’incremento dei posti di lavoro è andato progressivamente indebolendosi mentre nelle attività dei servizi alla persona il tasso di crescita delle posizioni lavorative si è dimezzato (da +5,6% a +2,7%).
- Nel periodo tra il terzo trimestre 2016 e il terzo trimestre 2018 le imprese sempre presenti (oltre un milione di unità con un’occupazione pari a 10,1 milioni di posizioni lavorative) hanno creato oltre 1,4 milioni di posti di lavoro e ne hanno persi quasi 775 mila, con un saldo positivo di circa 690 mila unità. La tendenza all’aumento ha coinvolto il 37,3% delle imprese a fronte del 26,3% che hanno ridotto le posizioni lavorative. La crescita è diffusa soprattutto tra le imprese di dimensione media e grande. I casi di espansione occupazionale sono risultati più frequenti nella manifattura (42,5% delle imprese a fronte di circa il 37% nei servizi di mercato e il 30,4% nei servizi alla persona).
- Sulla base dei flussi annuali di assunzioni delle imprese italiane nel triennio 2014-2016 è stata calcolata una misura del grado di disallineamento tra il titolo di studio conseguito dagli assunti e quello più richiesto dalle imprese per la medesima professione. Nel triennio il fenomeno ha interessato più della metà (53,5%) delle assunzioni nelle imprese italiane: la diffusione della sovraistruzione (31,6%) è maggiore di quella della sottoistruzione (21,8%), soprattutto per gli under 29; per gli over 49 prevalgono invece i sottoistruiti.
- Nei settori manifatturiero, delle costruzioni e dei servizi alla persona vi è un’alta concentrazione di sovraistruzione e una bassa incidenza della sottoistruzione, laddove nel settore dei servizi di mercato la diffusione della sovraistruzione è sotto la media.
- La maggior diffusione del fenomeno della sovraistruzione nei settori a più alta intensità di conoscenza (31,4%) e tecnologia (42%) si può leggere come il sovrapporsi di due fenomeni: la capacità strategica delle imprese in tali settori di investire e attrarre professionalità qualificate e l’eccesso di offerta di capitale umano
Monte ore lavorate, posizioni lavorative e ore lavorate pro capite. Trimestri I 2012-III 2018 (variazioni tendenziali) |
Fonte: Istat, Vela e Grandi imprese |
Capitolo 4. L’utilizzo delle agevolazioni contributive a sostegno dell’occupazione da parte delle imprese
- Negli anni l’incidenza dei rapporti di lavoro agevolati sul totale delle assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato ha avuto un andamento variabile: dal 16% del 2014 si è attestata al 61% nel 2015 per poi scendere al minimo del 10% del 2017. Nei primi nove mesi del 2018 si registra infine una risalita (al 15% circa). Generalmente l’incidenza delle agevolazioni è più elevata per le trasformazioni, con il massimo raggiunto nel 2015 (agevolate il 76% del totale).
- In assoluto l’esonero triennale varato per il 2015 risulta il programma che ha avuto l’impatto più rilevante. In questo anno si è avuto un forte aumento sia delle assunzioni che delle trasformazioni di contratti di lavoro a tempo indeterminato.
- Se l’esonero triennale del 2015 e quello biennale del 2016 hanno mobilitato risorse misurabili in miliardi di euro a favore delle imprese, il Bonus “Giovannini” si è attestato a consuntivo al di sotto dei 100 milioni di euro e “Garanzia Giovani”, fino alla metà del 2018, a circa 300 milioni.
- Nel periodo 2015-2017 oltre un terzo delle aziende con dipendenti a tempo indeterminato risulta interessato da almeno un rapporto di lavoro agevolato. Le agevolazioni considerate hanno corrisposto a una riduzione media annua attorno al 5% dei contributi totali che le imprese avrebbero dovuto versare (7% considerando solo le aziende incentivate).
- L’importo medio su base annua per ciascun dipendente incentivato risulta intorno ai 4 mila euro mentre l’incidenza sul monte contributivo medio per dipendente delle aziende incentivate è di circa il 40%.
- A livello territoriale emerge la sovra-concentrazione delle agevolazioni nel Mezzogiorno, che pesa per il 25% sul totale dell’importo delle agevolazioni, per il 19% sull’occupazione dipendente totale. Tra i settori di attività economica, una specializzazione relativa nel ricorso alle agevolazioni è riscontrabile soprattutto per le costruzioni e per il commercio.
- Se la quota di aziende incentivate è più elevata tra le aziende maggiori (nel 2016 l’85% beneficiava di almeno un lavoratore incentivato), il ricorso alle agevolazioni è complessivamente più significativo nelle piccole imprese. Quelle sotto i dieci dipendenti assorbono il 40% delle agevolazioni complessive mentre l’incidenza sull’occupazione totale è del 28%; per le imprese con oltre 250 dipendenti questi valori sono rispettivamente il 14% e il 31%.
Assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato agevolate. Anni 2014-2018* (valori percentuali) |
Impatto dei cinque programmi di incentivo per classe di addetti. Anno 2016 (valori percentuali) |
Fonte: Inps – Osservatorio sul Precariato * primi nove mesi.
Capitolo 5. Analisi dei flussi dei lavoratori: percorsi e sviluppi lavorativi
- Nel 2017 i lavoratori interessati dall’attivazione di almeno un rapporto di lavoro dipendente, parasubordinato o in somministrazione sono 6,7 milioni, in aumento dell’11,2% dopo la diminuzione del 2016 (-8,3%) e la crescita del 2015 (+8,8%). Rispetto agli anni precedenti, aumenta la quota di contratti a tempo determinato (66,9%, +13,8% rispetto al 2016) e dell’apprendistato (4,8%, +13,1%) mentre diminuisce quella dei contratti a tempo indeterminato (18,6%, -7,0%). Nel complesso, il lavoro temporaneo ha assorbito la maggior parte delle prime attivazioni (76,6% nel 2017) mentre il tempo indeterminato ha raggiunto il valore massimo nel 2015 (33,4%), anche a seguito dei provvedimenti sulla decontribuzione.
- L’analisi longitudinale, condotta prendendo come riferimento due coorti di individui seguite per 36 mesi dalla prima attivazione, conferma gli effetti della ripresa del ciclo economico. Il 64,4% di quanti hanno avuto un’attivazione nel 2014 ha un rapporto di lavoro attivo (tasso di permanenza) a tre anni di distanza rispetto al 57,3% del gruppo osservato dal 2010. In generale, nella coorte 2014 la permanenza è superiore tra gli uomini, contrariamente alla coorte 2010, tra i lavoratori con età compresa tra 35 e 44 anni e nelle regioni del Nord-ovest (70,2% contro 56,7% nel Mezzogiorno).
- Gli individui della coorte 2014, rispetto a quelli della coorte del 2010, hanno avuto nei successivi tre anni un maggior numero di giornate con almeno un contratto di lavoro attivo: il tasso di saturazione è pari rispettivamente a 61,4% e 59,5%. In entrambi i gruppi, i tassi di saturazione più elevati si riscontrano per i 35-44enni mentre i valori sono inferiori per i più giovani (fino a 24 anni) e per gli individui con oltre 54 anni di età. Gli individui della coorte 2014 che lavorano nel Mezzogiorno hanno un tasso di saturazione nel triennio del 55,2%, che corrisponde a poco più di 200 giorni all’anno. Nel Nord-ovest lo stesso tasso raggiunge quota 67,1%, con un numero medio annuo di 245 giornate lavorate.
- La quota di coloro che, entrati con un contratto temporaneo, sono passati a uno permanente (transizioni) risulta superiore per le classi di età più giovani e per la componente maschile, con un divario di genere che tende a diminuire all’aumentare del periodo di osservazione. Forti le differenze territoriali: tra gli entrati con un contratto temporaneo nel 2014, nel Mezzogiorno solo il 18,2% risulta transitato a un lavoro permanente dopo tre anni, contro una quota circa doppia nel Nord-ovest (36,0%).
Transizione dei lavoratori verso contratti permanenti per numero di mesi dall’ingresso. Coorti 2010 e 2014 (valori percentuali) | Transizione dei lavoratori verso contratti permanenti per numero di mesi dall’ingresso e ripartizione. Coorte 2014 (valori percentuali) |
Fonte: Elaborazioni su dati Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Comunicazioni obbligatorie SISCO
Capitolo 6. L’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: modalità, traiettorie ed esiti
- Nel 2017 vi sono stati 773 mila primi ingressi di giovani di 15-29 anni nel lavoro dipendente, parasubordinato e in somministrazione. Essi rappresentano il 35% del totale degli oltre 2 milioni di individui che, nella stessa fascia di età, sono stati interessati dall’avvio di almeno un rapporto di lavoro nell’anno. Il dato risulta in crescita rispetto al 2016 (+28,4%) e in confronto a due anni prima (+34,4%, 198 mila in più).
- Nel 2017 l’età media al primo ingresso è di circa 22 anni, nel 55% dei casi si tratta di uomini. Su 100 primi ingressi, oltre 50 si registrano nel Nord, 20 al Centro e 30 nel Mezzogiorno; 80 sono riferiti a cittadini italiani e 20 a stranieri.
- Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione.
- Tra il 2015 e il 2017 le modifiche normative hanno avuto un forte impatto sulla distribuzione dei contratti al primo ingresso. In particolare si osserva il dimezzamento del tempo indeterminato a seguito del venir meno dell’incentivo della decontribuzione piena del 2015 e la triplicazione dei nuovi ingressi con lavoro intermittente in concomitanza con l’abolizione dei voucher.
- Alloggio e ristorazione, trasporto e altri servizi di mercato sono i settori più ricettivi per i giovani alla prima esperienza di lavoro dipendente. Le professioni più frequenti sono camerieri e assimilati (12%), commessi delle vendite al minuto (8,5%), braccianti agricoli (7,4%), lavori esecutivi di ufficio (2,8%).
- Nella media 2015-2016, il 54,9% dei giovani entrati per la prima volta nell’occupazione ha un rapporto di lavoro ancora attivo a un anno di distanza. Il tasso di permanenza oscilla tra il massimo del Nord-ovest (60,5%) e il minimo del Mezzogiorno (48,7%). In termini di competenze, se analizziamo soltanto il 2016, la probabilità di avere ancora un rapporto attivo è minore per le professioni non qualificate (45,6%) e più elevata per quelle che richiedono un livello di competenza medio-alto (66,6%).
- La probabilità di transitare in un rapporto stabile, per i giovani con primo lavoro a termine nel 2015, è del 38,8% a sei mesi di distanza, 42,8% dopo un anno e 49,5% passati due anni. Nelle traiettorie lavorative dei giovani accedere alla prima occupazione con un contratto in somministrazione comporta una probabilità di quasi 12,5 punti percentuali superiore rispetto a chi vi accede con un contratto a tempo determinato.
Primi ingressi di giovani 15-29 anni per tipologia contrattuale. Anni 2015-2017 (valori percentuali) |
Fonte: Elaborazioni su dati Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Comunicazioni Obbligatorie SISCO |
Capitolo 7. Lavoro e salute: infortuni sul lavoro e malattie professionali nell’ultimo quinquennio
- Nel 2017 gli infortuni sul lavoro accaduti e denunciati all’Inail sono stati 561 mila, in media 1.536 al giorno, in sostanziale stabilità rispetto al 2016 (210 denunce in meno). Gli infortuni riconosciuti sul lavoro sono più di 379 mila, di cui quasi il 22% “fuori dell’azienda”.
- Rispetto al 2008, la diminuzione delle denunce è stata del 35,7%, con 300 mila casi in meno. Dai primi anni 2000, quando erano oltre 1 milione, le denunce di infortunio si sono quindi ridotte di quasi la metà.
- Le denunce con esito mortale sono state 1.135, poco più di 3 al giorno, confermando il dato del 2016; la riduzione rispetto al 2008 è stata del 29,7% (479 in meno rispetto alle 1.614 di dieci anni fa).
- I primi dati provvisori per il 2018 registrano rispetto all’anno precedente un aumento delle denunce in complesso (+0,9%) e, più significativamente, dei casi mortali (+10,1%, pari a 104 denunce in più).
- Nel 2018 i decessi hanno risentito di un più elevato numero di incidenti “plurimi”. Tra quelli più tragici si ricordano, in particolare, il crollo del ponte Morandi a Genova, con 15 denunce di casi mortali, e i due incidenti stradali a Lesina e Foggia in cui hanno perso la vita 16 braccianti.
- Nel 2017 sono state 58 mila le denunce di malattia professionale. Dopo oltre un decennio di crescita, per la prima volta si assiste a una battuta d’arresto: i casi diminuiscono del 3,7% rispetto al 2016. Tuttavia, i primi dati provvisori del 2018 indicano una ripresa del fenomeno (+2,5% rispetto all’anno precedente).
- In particolare, rispetto al 2008 le denunce per malattie professionali crescono in misura sostanziale (+89,7%), passando da poco più di 30 mila a 58 mila, soprattutto a seguito di interventi normativi e campagne di sensibilizzazione e informative che ne hanno favorito il riconoscimento.
- Le malattie riconosciute positivamente sono poco meno di 25 mila l’anno e in oltre il 60% dei casi interessano il sistema osteomuscolare (soprattutto tendiniti e dorsopatie), il 15% il sistema nervoso (sindromi del tunnel carpale), il 5% i tumori, con differenze significative per genere.
- A dato consolidato, ogni anno, a prescindere dalla data di denuncia, sono poco meno di 1.900 i lavoratori deceduti con riconoscimento di malattia da lavoro, con un’età media alla morte avanzata (77 anni).
Malattie professionali riconosciute positive per agente causale – Anno 2017 (composizione percentuale)
Fonte: Elaborazione su dati Open Data Inail rilevati al 31/10/2018 – sezioni A-T Ateco 2007, esclusi marittimi; al netto di studenti.
QUI LA VERSIONE INTEGRALE COMPRENSIVA DEI GRAFICI: Nota stampa_Rapporto mercato del lavoro