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La Cassazione. I virus, anche il Covid, contratti sul lavoro sono malattie professionali coperte dall’Inail

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Anche il Covid può essere una malattia professionale coperta dall’Inail, pure quando non viene dimostrato l’evento infettante. La vicenda riguarda un infermiere in servizio presso una Rsa.

La decisione

Dopo qualche anno di assistenza ad anziani malati e con problemi di epatite, l’uomo aveva contratto la malattia. Ma mai si era ricordato di essersi punto con una siringa o di essere venuto direttamente a contatto con sangue infetto. Lui aveva subito presentato domanda per incassare la copertura Inail ma senza successo.

Quindi aveva impugnato il diniego di fronte al Tribunale che aveva ancora una volta negato il suo diritto. Stessa sorte in Corte d’Appello.

Il lavoratore è dovuto arrivare in Cassazione per ottenere il primo verdetto favorevole pubblicato il 10 ottobre 2022 nel quale si afferma espressamente che, anche in questi casi, la copertura Inail dev’essere garantita. Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che accogliendo il ricorso di un infermiere che sosteneva di aver contratto l’epatite in una Rsa mentre cambiava anziani ammalati, senza provare, però, di essersi punto e sporcato con il sangue infetto hanno scritto nell’ordinanza:

“nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell’infezione» con l’aggiunta che «la relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici”.

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Nel caso sottoposto all’esame della Corte sbagliano i giudici territoriali che, con una motivazione non sempre coerente e lineare, in cui è menzionata la necessità di una «certa individuazione del fatto origine della malattia», a collocare il punto di caduta ultimo del proprio ragionamento nella conclusione per cui si sarebbe infine dovuta dare, anche alla luce della pregressa Epatite B, «la prova rigorosa dell’evento infettante in occasione di lavoro».

Precursore di questa importante ordinanza era stata una circolare dell’Inail, la 22 del 2020 con la quale l’istituto aveva chiarito che è infortunio sul lavoro l’infezione da Sars-Cov-2 contratta per motivi di servizio. E per dimostrare l’origine professionale della malattia basta la presunzione semplice, fino a prova contraria dell’Inail.