Una stele funeraria, oggetto di scavi archeologici clandestini presso l’antica città di Zeugma, in Turchia, è stata recuperata dai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Venezia (Tpc), coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze. A parziale conclusione dell’indagine, denominata convenzionalmente ‘Sposa del deserto’, la preziosa stele è stata consegnata a Roma alle competenti autorità turche.
I dettagli
I Carabinieri Tpc di Venezia hanno consegnato all’Ambasciatore della Repubblica di Turchia a Roma, venerdì 28 aprile 2023, una stele funeraria di straordinaria importanza storica, archeologica e artistica, oggetto di scavi clandestini e successiva illecita esportazione dalla Turchia.
Alla conferenza stampa hanno partecipato, tra gli altri, il Dr. Yahya Coskun, vice direttore generale del Ministero della Cultura e del Turismo turco; le dr.sse Zeynep Boz e Burcu Özdemir, del Dipartimento per la lotta al traffico illegale del predetto ministero.
Si tratta di una stele in pietra calcarea, ovvero in un materiale noto come ‘Formazione Gaziantep’ nella letteratura geologica e che era ampiamente utilizzato per statue e steli della necropoli di Zeugma in epoca romana. La stele, rettangolare, presenta una nicchia con sommità ad arco. Nella nicchia vi è il busto di una donna, raffigurata come una nobile sposa romana, che indossa un chitone e un velo drappeggiato (himation). La mano destra è appoggiata sul seno sinistro e tiene l’himation che le copre la testa. Nella mano sinistra regge un fuso e una piega della sua veste.
Al di sotto del busto vi è un’iscrizione funeraria in greco antico: “Satornila, la moglie che ama suo marito, addio!”. Le dimensioni, la rappresentazione iconografica, lo stile e la maniera dell’opera appartengono al gruppo c.d. ‘Yaman 2.1.21’ che trova precisi e numerosi confronti nella necropoli di Zeugma, ovvero in esemplari ancora in situ, o esposti in musei turchi. Alla città turca rimandano infine le tracce di terreno concrezionato sulla stele e oggetto di analisi.
La stele è stata considerata dagli studiosi, interessati nelle indagini, essere di straordinaria importanza per rappresentare elementi storici e artistici di Zeugma per il periodo romano antonino, che durò dal secondo quarto del II secolo fino alla fine del II secolo d.C. Per gli archeologi si tratta di una scoperta significativa che getterà nuova luce sulla ricerca prosopografica e genealogica a Zeugma, nonché sull’esistenza di famiglie locali che in seguito acquisirono nomi latini dopo aver ottenuto la cittadinanza romana.
La città di Zeugma, dalla cui necropoli la stele è stata illecitamente scavata, fu fondata intorno all’anno 300 a.C. da Seleuco Nicatore, generale di Alessandro Magno, sulla riva destra dell’Eufrate, in un territorio che oggi fa parte della provincia di Gaziantep, in Turchia. La città, famosa altresì per i mosaici romani, nel corso della storia è stata oggetto di numerose conquiste e occupazioni, in virtù dell’importanza strategica e commerciale.
La stele è stata sequestrata dai Carabinieri T.P.C. di Venezia in provincia di Firenze nel marzo dell’anno scorso, a seguito di perquisizione domiciliare a carico di una persona già oggetto d’indagini. Questi l’aveva introdotta nel territorio nazionale acquistandola precedentemente in Francia. Per tale bene, aveva chiesto all’Ufficio Esportazione di Firenze, ovvero a un ufficio del Mic che si occupa della circolazione dei beni culturali, il rilascio di un ‘certificato d’ingresso temporaneo’, presentando il bene come proveniente da contesti archeologici italiani.
Il predetto certificato ha una finalità commerciale, in quanto per 5 anni il bene importato non è soggetto alla disciplina nazionale di tutela: può essere ad esempio esportato all’estero, a prescindere da qualsiasi valutazione d’interesse culturale per la nazione. Considerate le conseguenze che il rilascio di tale atto comporta, preliminarmente gli Uffici Esportazione effettuano, sui beni oggetto della richiesta, i medesimi accertamenti previsti per l’uscita definitiva dal territorio nazionale dei beni d’interesse culturale.
Pertanto, poiché la stele era stata presentata come bene archeologico proveniente da contesti archeologici italiani, l’Ufficio Esportazione di Firenze chiedeva al detentore di presentare documenti che attestassero un possesso proprio, o altrui, del bene in un tempo antecedente al 1909 (anno dal quale inizia la tutela italiana per i beni archeologici), nonché documenti attestanti la liceità dell’originaria uscita della stele dall’Italia. A fronte di tali richieste, il detentore ritirava la domanda per il rilascio del certificato.
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Nelle indagini finalizzate alla ricostruzione della circolazione internazionale della Stele è stata di fondamentale importanza la “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti” in uso ai CC TPC, nonché il coinvolgimento del Servizio di Cooperazione Internazionale di polizia. L’azione prettamente investigativa si è inoltre avvalsa dell’opera di diversi enti di tutela e ricerca nel campo dei beni culturali, in particolar modo per la qualificazione del bene. Oltre al già citato Ufficio Esportazione di Firenze, sono stati coinvolti negli accertamenti le Università di Bologna, Harvard e Lyon, le Soprintendenze A.B.A.P. di Venezia e di Padova, il Centre National de la Recherche Scientifique. Una volta accertata la provenienza del bene, di fondamentale importanza sono stati poi i contributi del Combating Illicit Trafficking Department – Unit of International Affairs del Ministero della Cultura e del Turismo turco, nonchè dell’Università di Ankara.
Nell’ambito della medesima indagine, sono stati altresì individuate 4 riproduzioni moderne di preziosi reperti archeologici, già in circolazione nel mercato internazionale come beni autentici. A tali beni sono state apposte le previste indicazioni di non autenticità.
Il contrasto al traffico illecito dei reperti archeologici rappresenta una delle direttrici investigative che il Nucleo CC Tpc di Venezia persegue, attraverso verifiche costanti presso gli esercizi commerciali di settore, mediante l’attenta raccolta di segnalazioni da parte di studiosi e appassionati, grazie alla collaborazione con gli uffici centrali e periferici del Mic. La restituzione al patrimonio pubblico di questi beni, testimonianze materiali aventi valore di civiltà, riporta alla fruizione collettiva oggetti che narrano la storia di territori e di comunità.