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Legge 194 e il caso Roma: l’importanza della salvaguardia del diritto all’aborto

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In questi giorni si è molto discusso di aborto in merito alla legge 194 e al bando della Regione Lazio per il reclutamento di personale medico non obiettore presso l’Azienda ospedaliera S. Camillo di Roma. Il tema, che tocca le corde più profonde dell’etica, è senz’altro di scottante attualità. Da una parte, infatti, c’è il diritto dei medici ad essere obiettori, dall’altra c’è il diritto delle donne che lo richiedano a ricevere cure mediche e assistenza.

L’aborto, nonostante sia una pratica diffusa da sempre, è ancora oggi, oggetto di perplessità e quasi di fobia da parte di molte persone. Che siano motivi religiosi o morali, dunque, numerosi sono i medici che si dichiarano obiettori. Nella regione Lazio, per fare un esempio, coloro che si rifiutano di praticare l’aborto sono l’80,7% (dati Ministero della Salute, aprile 2016) e non è la regione con la percentuale più alta: in Molise, arrivano al 93,3 % (dati Ministero della Salute, aprile 2016) motivo per cui la regione sta pensando di adottare una misura di assunzione dei medici simile a quella dell’Ospedale S. Camillo di Roma.

Al di là delle percentuali, il cuore del problema è che il diritto delle donne ad abortire deve essere tutelato. La legge, a tal proposito, recita: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8”.  In molti casi, troppi, le donne sono costrette, nella migliore delle ipotesi, ad attendere poiché presso le strutture ove si rivolgono non ci sono medici disponibili.

In ambito bioetico come si può risolvere questo problema? Fondamentalmente non è possibile adottare una soluzione rigorosa in quanto è preclusa la possibilità di un’opera uniformatrice capace di dettare dei valori assoluti validi per ognuno di noi. Compito della legge 194 è quello di garantire il diritto delle donne ad abortire e per far sì che tale diritto sia de facto esercitato è necessario che, nelle strutture preposte, vi siano dei medici che pratichino l’aborto, cosa questa che non sempre accade.

Come si può evitare che esistano ospedali in cui non sia possibile praticare l’interruzione volontaria di gravidanza a causa della mancanza di personale addetto? La legge risponde anche a questo: “La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Dunque le modalità di reclutamento dei medici adottate dalla regione Lazio, forse, non sono così fuori luogo.

Ad ogni modo è doveroso ammettere che dove c’è una legge esiste un regolamento e ciò dovrebbe impedire, o comunque scoraggiare, il ricorso a pratiche illegali che troppo spesso hanno messo in pericolo la vita delle donne. Già, perché la vita delle donne non conta meno di quella del feto e se per motivi personali qualcuna decide di abortire lo Stato ha il dovere di intervenire. La morale non sta solo dalla parte degli obiettori, non ci sono medici buoni e donne cattive ma persone con una storia diversa che non meritano di essere etichettate categoricamente. Ovviamente l’ivg non può essere considerata alle stregua di un metodo contraccettivo ma, proprio in base alla legge 194, deve essere regolamentato e, qualora se ne abbia diritto, praticato.