IL COMITATO REGIONALE LAZIO
SPOSTA L’INIZIO DELLE GARE DI 10′
PER LANCIARE UN SEGNALE CONTRO LA VIOLENZA NEI CONFRONTI DEGLI ARBITRI
Sono giovani, coraggiosi, ragazzi della stessa età di quelli ai quali chiedono di rispettare quelle regole senza le quali non esisterebbe nessun tipo di sport.
Scendono in campo anche loro con le loro paure, le loro ansie da prestazione, i loro dubbi.
Ma anche con la loro passione, la voglia di fare bene, di tornare a casa con la soddisfazione di aver disputato una buona partita e cercare di fare ancora meglio la volta prossima.
Sono atleti, sono sportivi che meritano lo stesso rispetto degli altri che, insieme a loro calcano il prato verde o il parquet dei palazzetti.
Eppure, sempre più spesso non è così.
Gli atti di violenza di cui sono stati fatti oggetto due giovani giacchette nere nell’ultima settimana, dimostrano che il rispetto, fattore essenziale in ogni tipo di sport, rimane spesso un concetto teorico e non una linea guida alla base di ogni relazione umana.
Gli arbitri sbagliano, così come sbagliano gli allenatori a mettere una squadra in campo o i giocatori a fallire il più facile dei gol a porta vuota.
Sbagliano perché ci sono. Senza di loro non ci sarebbe sport, non ci sarebbero partite da giocare.
Viene da sorridere quando, in categorie di base, si criticano gli arbitri per scarsa professionalità.
Qualcuno dovrebbe ricordare che “nessuno nasce imparato” e che l’arbitro, come qualunque altro atleta, deve giocare per imparare, deve arbitrare e sbagliare, e ancora arbitrare e ancora sbagliare per diventare partita dopo partita un arbitro migliore e sbagliare sempre, ma magari un po’ meno.
Ma questo accade anche per gli ingegneri, per i medici, per i meccanici, per gli insegnanti e perfino per le madri di famiglia che per preparare le tagliatelle della domenica, devono cucinarle per centinaia di volte per arrivare a farle buone come quelle della nonna.
Sono considerazioni ovvie, banali, scontate.
Ma allora perché a un ragazzo che decide di fare l’arbitro, viene negato il diritto di vivere lo sport come divertimento, di condividere con serenità sudore e stanchezza con gli altri ragazzi che corrono accanto a lui?
E’ inaccettabile che adulti frustrati o ragazzini viziati possano permettersi di insultare, irridere o addirittura colpire un ragazzo che ha l’unica colpa di garantire ad altri la possibilità di fare sport in modo organizzato e ufficiale.
Certo, esistono arbitri arroganti e presuntuosi, arbitri che nascondono dietro un fischietto o un cartellino le loro frustrazioni e le loro inadeguatezze. Arbitri che debbono migliorarsi come uomini e come Direttori di gara.
Ma proprio per questo serve rispetto. Quel rispetto che ogni bravo allenatore dovrebbe insegnare o, meglio, trasmettere ai suoi giocatori, che ogni Società che decide di fare dello sport un modo di stare insieme e di vivere meglio, dovrebbe inculcare ai suoi dirigenti, che ogni persona dovrebbe condividere in famiglia, sul posto di lavoro, per strada o in Chiesa.
Se un arbitro arbitra male, va criticato e se non è adatto a dirigere una gara, gli va fatto capire che forse è meglio lasciare perdere e dedicarsi ad altro. Ma questo vale anche per i Presidenti, gli allenatori, i preparatori atletici, i magazzinieri, i giocatori e ancor più per i geometri, gli infermieri, gli sciatori, i poliziotti, i tappezzieri e per chiunque fa una attività umana che impatta con il prossimo.
Non si tratta di costruire arbitri migliori.
Si tratta di costruire un mondo migliore, dove lo sport non sia uno strumento per sfogare le proprie frustrazioni o le immancabili insoddisfazioni della vita.
E dallo sport la violenza deve rimanere fuori. La violenza è vigliaccheria non coraggio. La violenza è prevaricazione e non desiderio di giustizia. La violenza umilia chi la perpetua e chi la subisce. La violenza distrugge sempre, non costruisce mai.
E, allora, solidarietà e simpatia a chi sceglie di cimentarsi nel duro ruolo dell’arbitro e lotta senza quartiere a chi vuole rovinare con comportamenti violenti questo sport che tutti noi amiamo e a cui desideriamo assistere e partecipare.
Marco Giustinelli