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Marino, ANPI: Giornata in memoria delle vittime del terrorismo e analisi di Ugo Onorati sul caso Moro

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L’ANPI sezione “A. Del Gobbo” di Marino, in collaborazione con MarkFilm by Senza Frontiere Onlus e FICC, giovedì 10 maggio ha celebrato presso la Sala Lepanto la Giornata in memoria delle vittime del terrorismo. Quest’ultima è stata istituita dalla Repubblica Italiana con la legge 4 maggio 2007  n. 56 e si celebra il 9 maggio di ogni anno in considerazione del fatto che il 9 maggio 1978 furono uccisi Aldo Moro e Peppino Impastato. Durante la manifestazione è stato proiettato il film “Buongiorno, Notte” con regia di Marco Bellocchio. La proiezione è stata preceduta da un intervento del dottor Ugo Onorati, membro del direttivo ANPI di Marino.

“Il 9 maggio 1978 a via Caetani – ha esordito Ugo Onorati – fu fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro, che dopo 55 giorni di prigionia, di interrogatori e di trattative vere o presunte con i partiti e con gli apparati delle Istituzioni repubblicane, era stato ucciso dalle Brigate Rosse. Fu uno dei giorni più bui della nostra democrazia dal dopoguerra in poi, perché Moro non solo era un elemento di spicco della Democrazia Cristiana, che allora egemonizzava la vita politica nazionale da tre decenni e cioè dalla fondazione della Repubblica e dalla nascita della Costituzione, ma soprattutto, perché era una delle menti più lucide e progressiste del mondo politico di allora e per questo stava lavorando per far entrare nella “stanza dei bottoni”, come Nenni aveva avuto modo anni prima di definire il potere politico dentro e fuori le istituzioni, il Partito Comunista Italiano, allora guidato da un’altra grande figura della nostra  storia nazionale: Enrico Berlinguer. Una trattativa tra i due maggiori partiti politici popolari che fu chiamato il “Compromesso storico”. Sulla vicenda sono stati scritti una montagna di libri, di articoli, di saggi, film e nella memoria collettiva della nostra generazione sono rimaste impresse per sempre parole come “anni di piombo”, “terrorismo”, “gambizzazione”, “Hyperion” “Gladio”, la “Legge Reale”, “strategia della tensione” e simboli come la Renault 4 rossa, dove fu trovato il cadavere di Moro, la stella a cinque punte, i luoghi delle stragi come piazza Fontana a Milano, piazza della Loggia a Brescia, la stazione di Bologna, che beninteso non furono insanguinati soltanto dalle frazioni armate dell’estrema sinistra rivoluzionaria, ma anche dalle bande armate fasciste con la copertura di una parte dei servizi segreti e di alcuni apparati dello Stato. Così come, oltre alle parole, nella nostra memoria sono rimaste impresse le immagini di quel ventennio (anni Settanta-Ottanta del secolo scorso) di giudici, politici, sindacalisti, giornalisti, imprenditori, agenti di pubblica sicurezza e professori universitari morti ammazzati da pistolate e raffiche di mitra per una rivoluzione utopica e velleitaria. Violenza che ci toccava anche da vicino, quando i carabinieri con il giubbotto antiproiettile ci fermavano ai posti di blocco per chiederci i documenti e ci spianavano senza tanti complimenti la punta del mitra dento il finestrino della macchina. Anni bui per la nostra Repubblica, per il nostro vivere civile e democratico, pieni di ansie e di paure per il presente e per il futuro. Anni bui, a cui si ispira, già nel titolo, il film Buongiorno notte, diretto da Marco Bellocchio prodotto nel 2003. Dicevamo della ricca e forse anche straripante letteratura sull’argomento, ma anche la filmografia non è da meno, trattando non solo l’evoluzione dell’estremismo politico in rivolta armata, ma anche le convulsioni sociali, i tentativi di colpi di stato, la contestazione radicale al sistema parlamentare rappresentativo e al neocapitalismo delle multinazionali, o SIM come allora era chiamato, la deriva fascistoide di alcuni apparati di pubblica sicurezza, l’occupazione permanente  delle fabbriche e delle scuole, la guerriglia nelle piazze. Come è accaduto per i film più recenti sull’argomento, rispetto agli anni Settanta-Ottanta, anche questo di Bellocchio del 2003 si ispira, o è ricavato da un libro, romanzo o memoriale che sia. Il soggetto e la sceneggiatura, in questo caso, sono tratti dal libro della brigatista Anna Laura Braghetti, dove si narra del rapimento, delle prigionia e dell’uccisione di Aldo Moro tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978. Esattamente 40 anni fa. La narrativa è intrecciata a documenti televisivi originali dell’epoca, che risulteranno inediti ai giovanissimi di oggi, tale da conferire al racconto filmico l’andatura di una cronaca, che si fa storia nel suo divenire e nello stesso tempo conferire veridicità e obiettività ai fatti esposti in tutta la loro tragica crudezza. Al dramma umano dello statista rapito e poi assassinato si intreccia quello di un’intera nazione, di una società italiana ormai politicamente matura e quindi aliena da avventure autoritarie, quanto da velleità rivoluzionarie. A ciò si aggiunge, quasi un doppio livello narrativo, il dilemma personale di una terrorista, Chiara, nella cui mente si andava insinuando il dubbio umano e politico prodotto da quell’azione sedicente militare, sedicente rivoluzionaria, l’esplosione di una evidente contraddizione tra intenzioni e atti, tra progetto ed effetto, l’affiorare al chiaro della ragione (da cui forse il nome Chiara della protagonista) della paranoia ideologica, delle distorsioni e contorsioni dialettiche, a cui porta inevitabilmente il settarismo politico. E poi nel film ascoltiamo brani tratti dagli interrogatori ad Aldo Moro condotti senza capo, né coda dal sedicente e autoreferenziale tribunale del popolo instaurato dalle Brigate Rosse col preciso scopo di porsi come interlocutore alla pari dello Stato. E poi ancora vediamo inserti onirici sovrapporsi e sostituirsi alla realtà effettuale vissuti dalla protagonista, che desidera un’ipotetica liberazione dello statista, che allora da alcune parti era ritenuto possibile, quasi un finale a bivio con diversi esiti della storia. Il titolo del film, che ben si attaglia agli anni bui del terrorismo e alla contraddizione giorno/notte, è tratto da una poesia del 1862 di Emily Dickinson, la quale veramente dice nell’incipit: Good Morning – Midnight (Buongiorno, mezzanotte) perché i nostri risvegli a volte avvengono a mezzanotte, non in prossimità dell’alba, che non porta la luce del giorno ma il buio profondo della notte. Il film è stato prodotto da RAI Cinema, è stato riconosciuto come opera d’interesse culturale nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC) e ha ricevuto il premio Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, oltre ad altri importanti riconoscimenti. Chiara, la protagonista è interpretata da Maya Sansa, la brigatista presa da scrupoli di coscienza, ed è un personaggio di fantasia, anche se ispirato al romanzo autobiografico della Braghetti e in parte di un’altra donna brigatista: Adriana Faranda, che comparve alle cronache giudiziarie, come una delle prime a dissociarsi dalla lotta armata dopo il delitto Moro, la quale, insieme al suo compagno Valerio Morucci, votò contro la decisione di uccidere il “prigioniero politico”. Il ruolo di Aldo Moro è interpretato da Roberto Herlitzka. Altri personaggi, interpretati da Lo Cascio (nel ruolo di Mariano), Paolo Bruguglia (nel ruolo di Enzo) Pier Giorgio Bellocchio (nel ruolo di Ernesto) e Giovanni Calcagno (nel ruolo di Primo),   rievocano i brigatisti storici di quella vicenda, come Mario Moretti, Germano Maccari e Prospero Gallinari. Infine l’attore Giulio Bosetti interpreta papa Paolo VI amico personale di Aldo Moro e autore di una supplica umiliata e dolorosa per la sua liberazione. Nella colonna sonora Chiara ascolta musiche di Pink Floyd, oltre che di Verdi, Schubert e Offenbach, mentre vede in televisione scorrere le immagini di partigiani fucilati dai nazisti, o mentre legge le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. Anche la rievocazione della canzone partigiana Fischia il vento, produce una paradossale situazione di flashback generazionale e quindi di contraddizione esistenzial-ideologica. Il film di Bellocchio, sotto questo punto di vista, appare documentatissimo e ricco di sfumature psicologiche atte a interpretare il comportamento degli assassini. Fa curiosità sapere che la pellicola è stata vista anche da Moretti e Gallinari, i maggiori responsabili dell’atto omicida, i quali ebbero a dichiarare, che mentre gli amici di Aldo Moro, all’esterno della prigione del popolo, negavano autenticità alle lettere da lui scritte, all’interno di questa alcuni brigatisti le sapevano vere e per questo erano sconvolgenti per loro, perché le assimilavano alle lettere dei condannati a morte della Resistenza”.