A Colleferro e in Ciociaria ci sono persone che non si separano mai dal lascito delle grandi industrie chimiche della Valle del Sacco. Non lo possono fare perché ce l’hanno nel sangue. E’ un’eredità pesante, accumulata dentro molti contadini, allevatori ed ex operai che hanno vissuto o vivono vicino le sponde del fiume Sacco. Quest’eredità è racchiusa in una parola difficile da pronunciare: betaesaclorocicloesano.
Il betaesaclorocicloesano è un sottoprodotto della lavorazione delle industrie chimiche di Colleferro. Si tratta sostanzialmente di un derivato del Lindano, insetticida ampiamente utilizzato in agricoltura fino al 2001, anno in cui è stato messo al bando in Italia e in altri 50 paesi firmatari della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti.
La contaminazione è partita dalle discariche di rifiuti tossici delle aziende del comparto di Colleferro, e raggiungendo il fiume ha avvelenato terreni, ortaggi e persone. Dal 2006, dopo l’istituzione dello stato d’emergenza ambientale avvenuta a marzo del 2005, il Beta-Lindano è diventato il centro delle indagini del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio che ha iniziato un programma di monitoraggio sulla popolazione residente entro un kilometro dal fiume Sacco. Negli anni successivi il programma di Sorveglianza Sanitaria ed Epidemiologica condotto su un campione di 600 persone residenti vicino il fiume sacco, ha consegnato diversi rapporti scientifici che attestano la presenza di quest’inquinate in 137 persone e che confermano gli effetti nocivi dell’accumulo di Betaesacloro nel sangue dei cittadini messi sotto osservazione, evidenziando una correlazione tra l’incidenza di alcune patologie e la contaminazione da Beta-Lindano.
Il nuovo studio del Dipartimento di Scienze Biochimiche: l’azione del Beta-Lindano nelle cellule tumorali
Da qualche giorno, su Pubmed – l’autorevole portale per le pubblicazioni scientifiche – è disponibile il nuovo studio del Dipartimento di Scienze Biochimiche dell’Università La Sapienza. Uno studio, che come oggetto di ricerca ha proprio il Lindano. Il laboratorio di Biochimica, coordinato dalla prof.ssa Eufemi e dal Prof. Altieri, ha ultimato uno studio sull’azione del Beta-Lindano nelle cellule tumorali e la sua relazione con una proteina, la Stat3. Questa proteina svolge delle attività essenziali nella cellula: è una sorta di messaggero tra l’ambiente esterno della cellula e il nucleo, dove interagisce con il DNA, permettendo così la crescita la proliferazione cellulare (la moltiplicazione della cellula).
Quando la proteina Stat3 è eccessivamente attiva – spiega la Professoressa Silvia Chichiarelli – causa un’alterazione dell’equilibrio cellulare. In questa situazione avviene una deregolazione dei processi controllati da Stat3. Questa crescita disordinata ed eccessiva caratterizza lo sviluppo di patologie tumorali.
Questo studio – spiega la professoressa Margherita Eufemi – ha confermato l’eccessiva attivazione di Stat3 in presenza di Beta Lindano. I risultati ottenuti – continua l’Eufemi – confermano che la proteina STAT3 svolge un ruolo chiave nelle risposte intracellulari innescate dal Betaesaclorocicloesano in diversi tipi di cellule: epatiche, di mammelle e di prostata.
La linea di ricerca sul Lindano continua
Ora il laboratorio di Biochimica sta continuando questa linea di ricerca per identificare composti capaci di controllare o inibire l’attività della proteina Stat3, e quindi di svolgere un’azione protettiva dagli inquinanti come il Lindano. E’ la professoressa Silvia Chichiarelli a coordinare il lavoro dei giovani dottorandi, Elisabetta Rubini, Giuliano Paglia, Flavia Giamogante e Stefania Carissimi.
La Dottoressa Elisabetta Rubini ha illustrato lo studio preliminare di questo ricerca al 43esimo congresso del FEBS (Federation of European Biochemical Societies) che si è tenuto a Praga dal 4 al 12 luglio scorso. Il lavoro presentato dalla Rubini ha vinto il Grant per quest’edizione del FEBS, evento considerato tra gli appuntamenti più importanti per la ricerca molecolare in Europa.
Il Dottor Giuliano Paglia ha incentrato i suoi studi sull’azione del Beta-Lindano nel tumore alla prostata (PCa), indagando sulla correlazione tra l’inquinante e alcuni processi che portano a una maggiore aggressività dei tumori.
Altro fattore importante in queste ricerche risiede nel fatto che il valore di concentrazione di Lindano inserito nelle cellule, è stato estrapolato dall’ultimo rapporto di “Sorveglianza Sanitaria ed Epidemiologica Della Popolazione Residente In Prossimità Del Fiume Sacco”.
“L’anno scorso – comunica l’Eufemi – grazie all’associazione ambientalista Unione Giovani Indipendenti, abbiamo avuto modo di incontrare i responsabili dell’Asl che stanno seguendo i cittadini sottoposti a sorveglianza epidemiologica, il Dottor Blasetti e la Dottoressa Fantini. In questo modo è nata una collaborazione importante che unisce la ricerca sull’azione cellulare del Beta – Lindano al biomonitoraggio sulla popolazione esposta a questa sostanza tossica nella Valle del Sacco.”
Il gruppo di ricerca della Sapienza sta continuando gli studi sul Beta-Lindano per confermare il ruolo di questa sostanza tossica nella formazione di patologie tumorali e per provare la corresponsabilità nel rendere maggiormente aggressive le forme tumorali.
Un disastro ambientale ancora da bonificare
La contaminazione della Valle del Sacco resta un disastro ambientale che chiede giustizia. Lo ricorda anche il rapporto epidemiologico utilizzato dai ricercatori della Sapienza: Si tratta di un episodio che ha implicazioni etiche, politiche e sociali di livello nazionale. Le autorità locali – si legge sempre nelle raccomandazioni finali– hanno il dovere di informare la popolazione, di salvaguardarne la salute specie dei gruppi sociali più deboli, di offrire l’assistenza sanitaria adeguata, e di garantire un continuo monitoraggio epidemiologico e sanitario.
E mentre questa sostanza tossica continua a vivere nel sangue delle persone della Valle del Sacco, il processo penale che dovrebbe accertare i responsabili della contaminazione è in fin di vita. A tentare la sua ripresa ci sono solo le associazioni ambientaliste.
La Valle del Sacco, uno dei Siti d’Interesse Nazionale (SIN) più esteso e complesso d’Italia, attende ancora un’opera di bonifica capace di rimuovere quell’eredità accumulata nel fiume, nella terra e nel sangue delle persone.