Le assicurazioni hanno spesso negato il risarcimento nei confronti delle vittime e dei loro eredi quando i veicoli da loro garantiti erano stati utilizzati come delle vere e proprie armi da parte dei conducenti e quindi in ipotesi di condotta dolosa di guida. Ma oggi Giustizia con la «G» maiuscola è fatta dalla Cassazione secondo la quale con la sentenza 20786/18, pubblicata il 20 agosto dalla terza sezione civile, l’assicurazione del proprietario dell’auto deve risarcire anche se il conducente ha investito di proposito il danneggiato.
In tale ottica, non può essere applicata la norma generale di cui all’articolo 1917 del codice civile in tema di assicurazione che esclude dal risarcimento «i danni derivanti da fatti dolosi» perché la responsabilità civile da circolazione stradale è peculiare ed assume connotazioni di natura pubblicistica come affermato anche dalle direttive europee che hanno statuito il principio di solidarietà verso il danneggiato, salva la facoltà della compagnia di rivalersi nei confronti dell’assicurato. E nella nozione Ue di circolazione dei veicoli rientra qualunque uso che sia conforme alla funzione abituale del mezzo, compreso l’arresto della corsa.
Sono questi gli importanti principi stabiliti oggi dalla Suprema Corte che risolve in favore delle vittime degli incidenti stradali o dei loro eredi il tentativo di sottrarsi a quanto dovuto da parte delle compagnie assicuratrici. Nella fattispecie, nell’accogliere il ricorso di un cittadino gravemente danneggiato a seguito di un sinistro stradale, è stata ribaltata la decisione della Corte d’appello di Caltanissetta che aveva a sua volta rovesciato il verdetto del giudice di prime cure del Tribunale di Enna, facendo prevalere l’uso improprio dell’autovettura, adoperata come un’arma vera e propria, sulla tutela dell’uomo che aveva riportato gravi lesioni.
Per i giudici di legittimità, al contrario della corte territoriale, la copertura assicurativa persiste anche quando il sinistro configura una fattispecie rilevante sul piano penale perché si è verificato con dolo attraverso l’utilizzo dell’auto come strumento di offesa intenzionale. E ciò perché mentre il rapporto fra compagnia e assicurato è soggetto alla disciplina privatistica del contratto, quello fra assicuratore e danneggiato ha connotazioni pubblicistiche come ampiamente statuito nelle direttive UE e già applicato in molteplici decisioni giurisprudenziali Ue e in autorevoli precedenti nazionali richiamati nella decisione in questione. Non vi è dubbio, infatti, che gli incidenti stradali creino allarme sociale e la comunità abbia un particolare interesse alla tutela sociale dei danni derivati, tant’è che sussiste il diritto al risarcimento anche se manca il contratto di assicurazione in ragione del fondo di garanzia per le vittime della strada anche in ragione della richiamata tendenza del diritto europeo nel senso del riconoscimento del prevalente interesse del danneggiato ad essere ristorato del danno subito.
Ecco perché la Corte di Merito chiamata ad una nuova pronuncia sullo stesso fatto dovrà applicare il principio secondo cui: «In tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, la garanzia assicurativa copre anche il danno dolosamente provocato dal conducente nei confronti del terzo danneggiato, il quale, pertanto, ha diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno, non trovando applicazione la norma di cui all’art. 1917 c.c. – che non costituisce il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione stradale, rinvenibile, invece, nelle leggi della RCA e nelle direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato – salva la facoltà della compagnia assicuratrice di rivalersi nei confronti dell’assicurato – danneggiante, ove la copertura contrattuale non operi».
Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, tali importanti principi saranno applicabili a livello nazionale in tanti casi che hanno colorato di nero le cronache locali e che riguardano vicende del tutto analoghe a quella decisa dalla Suprema Corte nelle quali i veicoli sono stati utilizzati come vere e proprie armi atte a colpire le controparti. Su tutte e fra le ultime si ricorda quella di Franco Amati, noto a Lecce come “Mesciu Francu”, che secondo quanto confermato anche da una recente sentenza della Corte d’Appello penale di Lecce fu intenzionalmente investito e morì per le lesioni provocate mentre si trovava sulla sua amata bicicletta.